Polvere di stelle, lo sfogo di Conte
Annalisa Cuzzocrea
«Questa volta non può finire a tarallucci e vino, questa volta andrò fino in fondo». La questione è semplice, a volerla guardare senza veli: Giuseppe Conte non si fida più di Luigi Di Maio. Di più, il presidente del Movimento 5 stelle è convinto che il ministro degli Esteri lo voglia disarcionare. Che intenda farlo rinunciare a guidare il Movimento. Che abbia negli ultimi mesi agito scientemente e costantemente contro di lui e contro la sua linea politica. Per indebolirlo, fiaccarlo, costringerlo alla resa. «Non si tratta di idee in dissenso, ci sono fatti oggettivi – ha spiegato ai suoi fedelissimi e anche ad alcuni esponenti del Pd – Luigi è andato davanti alle telecamere con i suoi uomini e le sue donne alle spalle, come una corrente organizzata. Ha tenuto una serie di incontri con leader di partito, possibili candidati, mediatori, senza mai informare me. Senza mai parlarne con il capo politico». E quindi, dice, indietro non si torna. Le correnti da statuto non sono ammesse, il presidente valuterà come procedere. Andrà fino in fondo, ma può?
Di Maio è il ministro degli Esteri del governo Draghi: se venisse cacciato dal Movimento è molto difficile che il premier- da lui difeso strenuamente proprio nella partita del Quirinale – possa accettare di sostituirlo. I 5 stelle azzopperebbero la loro presenza nel governo e la leadership di Conte ne risulterebbe, allora, sì davvero indebolita. Sempre che i vertici non abbiano in mente proprio quello che il capo della Farnesina e i suoi dicono di temere da tempo: togliere l’appoggio all’esecutivo per acquisire una rendita elettorale stando all’opposizione. In questa chiave, avrebbe senso l’apertura dimostrata da Conte nei confronti di Alessandro Di Battista. L’ex deputato, colui che un tempo definiva Di Maio “fratello” Di Maio, si è “disiscritto” dal Movimento quando è nato il governo Draghi, ma ha continuato – ancora ieri nell’intervista al Fatto – a difendere l’ex premier attaccando invece proprio il ministro degli Esteri: «Luigi è interessato solo a mantenere il suo potere», dice a tutti coloro che lo sentono in queste ore.
Solo che Di Battista resta colui che ha definito l’alleanza strutturale con il Partito democratico «la morte nera». Su un fogliettino bianco spiegazzato – ricordo del conclave tenutosi a Bibbona quando nacque il governo giallo-rosso – accanto al suo nome, Alessandro, si legge: No. Aveva votato per non entrare. Anzi, racconta chi c’era, per tornare insieme alla Lega che in quel momento di panico post Papeete offriva la premiership a Di Maio e un ministero proprio a lui, di ritorno dal viaggio in Sudamerica. E insomma, se davvero Conte vuole a bordo Di Battista – per usare una delle sue metafore marittime preferite – è per andare dove? Lontano dal governo e dal Pd? Verso una campagna elettorale vecchio stile?
È il sospetto di Di Maio, ma è anche quel che attorno al capo politico negano tutti. Da Paola Taverna a Stefano Patuanelli, da Alessandra Todde a Mario Turco, il coro unanime dice: «Noi vogliamo rafforzare l’azione di governo, altro che uscirne!». Per dire il clima, chi era ieri in Consiglio dei ministri ha raccontato che il ministro degli Esteri e quello dell’Agricoltura non si sono nemmeno guardati in faccia. Né un cenno, né un saluto. Non c’era mai stato un conflitto così plateale ed esibito dentro i 5 stelle Ed è proprio questo che il presidente dice a tutti di non poter tollerare. Che ci sia qualcuno che contrasta apertamente la sua linea.
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