Polvere di stelle, lo sfogo di Conte
Quello che Conte e i suoi descrivono è un sabotaggio. Anche sul caso di Elisabetta Belloni, che il ministro degli Esteri ha detto di voler proteggere e che invece secondo i suoi detrattori sarebbe stato proprio lui a bruciare. «Giuseppe non aveva fatto il suo nome, aveva parlato solo di una donna, non c’era nessuna fuga in avanti!», la difesa. Un po’ debole, visto che è stato proprio Conte a chiamare Beppe Grillo ispirando il tweet: «Benvenuta signora Italia, ti aspettavamo da tempo», col nome della direttrice del Dis come hashtag. E che non tiene conto di un fatto: c’era tra le altre forze una reale resistenza su quel nome, rischiava di non avere i voti in aula di tutta la maggioranza di governo. Non era il metodo che il fronte progressista si era dato.
Chi è vicino a Conte, ma conosce Di Maio da sempre, pensa che il ministro degli Esteri stia lavorando a un suo progetto con Giancarlo Giorgetti, i governatori leghisti del Nord, il sindaco di Venezia Brugnaro, magari perfino Matteo Renzi, e che stia cercando un pretesto per allontanarsi dai 5 stelle. Che voglia disegnare una sconfitta che non c’è per andare a cercare rivincite altrove. Un suo spazio, lontano da chi considera né più né meno che un usurpatore. Ma di contro chi è vicino a Di Maio – che oggi riunirà un po’ dei suoi, da Vincenzo Spadafora a Sergio Battelli, per capire il da farsi – ribatte: «Noi che eravamo al Teatro Smeraldo quando è nato tutto non ce ne andremo lasciando le chiavi del Movimento a chi a stento lo conosce.
Il malumore, ancor più che verso Conte, è rivolto a quelli che vengono chiamati i suoi «viceré». Accusati di aver pattugliato il Transatlantico «come la Gestapo». Di pretendere di dire ai capigruppo cosa devono fare. Di minacciare espulsioni che non possono portare a compimento. I probiviri sono tre: Riccardo Fraccaro e Jacopo Berti, che a Di Maio devono tutto. E Fabiana Dadone, che quando si trattò di far nascere il governo Draghi si mise dalla parte del capo della Farnesina e non da quella di Conte. In più, sono in prorogatio e non agiscono da mesi, perché sul nuovo Statuto pende una causa a Napoli che potrebbe invalidarlo e qualunque loro azione sarebbe soggetta a richieste di risarcimento.
Conte starebbe quindi cercando un altro modo di risolvere la questione, ma considera la frattura «insanabile». Se questo possa preludere davvero a una scissione, si capirà nelle prossime settimane. Nessuno dei due schieramenti ha truppe folte e sicure. La maggior parte dei parlamentari M5S cerca di capire come assicurarsi un futuro e si muove essenzialmente in base a questo. Una delle ragioni che muove Di Maio, potrebbe essere proprio la volontà di avere voce in capitolo sulle prossime liste per le politiche, magari dopo un altro fallimento alle amministrative di maggio. «Il sonno della ragione genera mostri», va dicendo in queste ore in Transatlantico l’ex viceministro dello Sviluppo Stefano Buffagni. Convinto che adesso non si possa far niente per placare la rissa, ma che presto arriverà il momento di ricostruire. Perché un’altra scissione, con i consensi già scesi così in basso, equivarrebbe alla fine di tutto.
LA STAMPA
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