Le nostalgie senza futuro dei partiti
Per la politica sarebbe una sconfitta non riuscire, tra un anno, a proporre al Paese alleanze, progetti, idee e candidati decenti, in cui gli italiani possano riconoscere le proprie aspirazioni e i propri interessi
Non è difficile immaginare lo spirito che segnerà la giornata di oggi. Il giuramento del presidente della Repubblica avviene sempre in un’atmosfera, se non solenne, seria; a maggior ragione se a giurare è, per la seconda volta, una personalità della statura di Sergio Mattarella. A Montecitorio ci saranno grisaglie da cerimonia e sorrisi da scampato pericolo. Una sorta di catarsi collettiva. Allegria di naufragi, avrebbe scritto Ungaretti: «E subito riprende/ il viaggio/ come/ dopo il naufragio/ un superstite/ lupo di mare». E lupi di mare ce ne sono parecchi, nel luogo detto non a caso Transatlantico. Sabato sera hanno tirato un sospiro di sollievo, e oggi si congratuleranno l’un l’altro, felici.
La rielezione di Mattarella è certo un elemento di stabilità ed equilibrio per il sistema; ma è stata il frutto anche di altre motivazioni, non tutte così nobili. Non è solo l’indennità da riscuotere sino all’ultimo, e la pensione da maturare. I peones hanno alzato un fuoco di sbarramento contro i «tecnici», confermando di essere prigionieri di un’idea un po’ invecchiata della politica, e dimenticando che, quando arrivano i professori, è perché i professionisti hanno fallito.
Forse i politici sottovalutano il discredito che ancora li circonda nell’opinione pubblica, anche perché non sono stati scelti dai cittadini, bensì designati dai capi partito.
Come ha fatto notare un ex che non può essere accusato di ubbie antipolitiche, Massimo D’Alema, i parlamentari non si sono conquistati il seggio sul territorio, tra la gente, ma nell’ufficio o più spesso nell’anticamera del segretario. Questo toglie loro credibilità e fa crescere in noi la nostalgia dei collegi uninominali — quelli da centomila elettori previsti dalla legge che porta il nome di Mattarella, non quelli troppo grandi imposti dalle norme in vigore —, dove chi ha un voto in più viene eletto e rappresenta una comunità che può confermarlo o sostituirlo.
Ma la direzione che ha imboccato la politica non va verso i collegi uninominali e il sistema maggioritario, introdotto con il referendum popolare del 1993. Al contrario, molti partiti hanno nostalgia del proporzionale, come nella Prima Repubblica. Un tempo in cui però esistevano luoghi di selezione della classe dirigente: sezioni, scuole, amministrazioni locali.
Oggi i partiti sono spappolati. Divisi in correnti e in gruppi digitali che non esitano a usare l’uno contro l’altro i più sporchi trucchi della Rete. E già questa tribalizzazione della politica non è una buona notizia. Ma ce n’è una ancora peggiore.
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