Le nostalgie senza futuro dei partiti
La fine, si spera provvisoria, delle coalizioni sembra negare all’Italia la sorte delle democrazie avanzate: l’alternanza al governo di progressisti e conservatori. Già nella Prima Repubblica abbiamo sperimentato l’ammucchiata al centro, la cooptazione di varie forze attorno a un partito, la Dc, condannato a governare. Il risultato fu la crescita di clientele, malaffare, spreco di denaro pubblico, finanziamento illegale. Abbiamo nostalgia di tutto questo? Davvero la stagione di Mani Pulite, iniziata trent’anni fa in questi stessi giorni, è esaurita solo dal ricordo dei metodi spregiudicati di alcuni pm? Non fu anche un periodo in cui dalla società si levava una richiesta di rinnovamento, di partecipazione, di buona politica? Qualcuno pensa seriamente che le Camere che si riuniscono oggi abbiano fornito una risposta convincente a quella domanda?
L’alternanza presuppone il ritorno delle coalizioni, e la tenuta del sistema maggioritario. Ma è inutile costruire alleanze tra partiti che la pensano diversamente su tutto, e si mettono insieme per conquistare seggi con il retropensiero di tornare a dividersi subito dopo. Da tempo molti ripetono che all’Italia serve un centrodestra moderno ed europeo. È ancora più vero adesso che la pandemia ha cambiato il mondo; ha chiuso l’era del populismo di destra e di sinistra, di Brexit, Trump, Marine Le Pen, Alternative für Deutschland, Podemos, e pure di Lega e 5 Stelle nella fase anti-europea e anti-sistema; e ha aperto un’epoca diversa, in cui l’Europa accetta finalmente di fare debito condiviso, in Germania i socialdemocratici rivendicano l’eredità di Merkel, Trump perde le elezioni e pure Boris Johnson si sente poco bene. Non è uno spostamento a sinistra; è la fine dell’illusione sovranista. Davvero il centrodestra italiano pensa che il futuro appartenga ancora agli Orbán e ai Kaczynski? Non è il momento di dare rappresentanza ai moderati, ai liberali, ai cattolici, ai ceti produttivi oppressi dal Fisco e dalla burocrazia, agli imprenditori per cui l’Europa è un mercato e un destino comune?
La sconfitta per il sistema politico non è rieleggere ieri Mattarella e appoggiare domani convintamente il governo Draghi. La sconfitta sarebbe non riuscire, tra un anno, a proporre al Paese alleanze, progetti, idee e candidati decenti, in cui gli italiani possano riconoscere le proprie aspirazioni e i propri interessi. Altrimenti non lamentiamoci se la nebbia che già Guicciardini vedeva tra la piazza e il Palazzo si infittisce, e alle elezioni suppletive di Roma si astiene l’89% dei cittadini.
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