M5S, il rischio implosione
Annalisa Cuzzocrea
Alla Camera è il momento del suono delle campane. Significa che il presidente della Repubblica ha lasciato la sua casa, che Sergio Mattarella sta arrivando, è quasi il momento del giuramento. Eppure i parlamentari del Movimento 5 stelle in Transatlantico sembrano assistere a un funerale. Nei capannelli la paura del cupio dissolvi evocato da Beppe Grillo ha superato i livelli di guardia. Per risalire a un momento simile, bisogna ricordare il giorno della scorsa legislatura in cui arrivò la notizia della morte di Gianroberto Casaleggio: c’è la stessa aria grave. Il timore che tutto stia per svanire.
In molti – confusi, spaventati – confessano di aver chiamato proprio Grillo. Vorrebbero che il fondatore intervenisse per separare Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Come quando in un incontro di pugilato l’arbitro stacca i due contendenti, magari dopo un colpo proibito. «Io vi avevo detto che qualcosa non andava in quello statuto, ma volevate tanto Conte. Ora ve lo tenete e state in riga», ha detto a tutti il fondatore. Che effettivamente non aveva gradito di essere estromesso completamente dalla guida politica dei 5 Stelle, di essere confinato nel suo ruolo di garanzia. Aveva provato a opporsi, era arrivato quasi alla rottura, «ma poi proprio Luigi è venuto a chiedermi di tornare indietro, di dare il Movimento a Conte, di sistemare le cose. Adesso ha cambiato idea?».
Forse sì, forse il ministro degli Esteri pensava allora di non avere scelta e pensa adesso che quel potere assoluto concesso al presidente M5S vada bilanciato. O annichilito. In aula, Di Maio è stato per tutto il tempo seduto tra il presidente del Consiglio Mario Draghi e la ministra della Giustizia Marta Cartabia. Quasi una nuova collocazione, ricercata, esibita, lontana anni luce dalla linea dei vertici M5S sul Quirinale e non solo.
E così Conte non indietreggia. Ha allontanato Davide Casaleggio, ha depotenziato Grillo, ora vuole andare fino in fondo con l’ex capo politico. Spera sia lui a mollare, a dar vita a un nuovo soggetto, ad allontanarsi. «Volete sapere del confronto interno? – dice ai suoi subito dopo il discorso di Mattarella – Vi basta attendere alcuni giorni. Sono successe cose gravi, ci sono state prove muscolari e azioni che minano i nostri valori e la nostra identità. Non sono questioni personali, riguardano tutto il Movimento». Il fatto più dannoso, ha spiegato, «è che a entrare a gamba tesa sia chi ha ruoli di garanzia». Di Maio presiede il comitato dei garanti del nuovo Movimento (con lui ci sono l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi e il presidente della Camera Roberto Fico). «Si è presentato alle telecamere con i suoi dietro come il capocorrente di un vecchio partito. Noi siamo nati per combattere queste derive, non posso accettarlo», dice Conte, «né possiamo permetterci ritardi o incertezze». Poi richiama proprio le parole di Mattarella: «Nel confronto non chiuderemo certo la porta agli iscritti, non è nel nostro dna. Lo ha ricordato anche il presidente: “Senza partiti coinvolgenti il cittadino si scopre solo e più indifeso”». Nell’atto di accusa, l’ex premier mette anche la presunta telefonata del capo della Farnesina al ministro della Difesa Lorenzo Guerini per bloccare la candidatura di Elisabetta Belloni al Quirinale. L’idea che matura sarebbe quindi quella di proporre agli iscritti, attraverso una discussione e un voto on line, una sorta di sfiducia del ministro degli Esteri. Una bocciatura ufficiale del suo operato che lo costringa alle dimissioni almeno dal ruolo rivestito nel comitato di garanzia.
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