Si dice dignità, si legge umanità
Stefano Zecchi
La dignitas è la base dell’humanitas. Così spiega il filosofo latino Seneca a Lucilio, governatore della Sicilia, a cui dedica 124 lettere dove sono trattati i temi fondamentali dell’educazione morale. Mattarella come Seneca? Ho contato che nel suo discorso di insediamento la parola «dignità» è stata ripetuta 18 volte, ma la cosa interessante non è soltanto il numero, pur considerevole, in cui è pronunciata la parola, ma l’ordine concettuale in cui è inserita nel discorso e la struttura sintattica con cui la parola dignità costruisce le singole frasi dove essa appare.
La dignità è una qualità morale con la quale la persona chiede rispetto per sé e, a sua volta, rispetta gli altri. Essa ha una relazione determinante con il concetto espresso dal verbo rispettare. Questa relazione è il fondamento dell’humanitas.
Mattarella nel suo discorso ha toccato tutti i temi sensibili del momento, dall’economia alla sanità, al ruolo del Parlamento e della politica, alla scuola e agli studenti, ha salutato e ringraziato le istituzioni dello Stato… E poteva finire qui, non avendo trascurato niente e nessuno. E invece no. Come se si fosse accorto che mancava l’architrave al suo discorso, ecco lo scarto filosofico, profondamente etico.
Possiamo anche essere d’accordo su tutto quello che ho affermato – sembra dirci Mattarella – ma nulla resta vero se non si comprende «la dimensione della dignità; c’è un significato etico e culturale che riguarda il valore delle persone e chiama in causa l’intera società. La dignità». E così il suo discorso, finora imperniato in una burocratica attenzione alle componenti del Paese e alle sue problematiche, prende il volo. Con una sintesi sferzante, degna di un grande moralista della scuola stoica, attacca l’immoralità di una società che trascura la dignità verso se stessa, ignorando i bisogni e le fragilità di chi fa parte di questa stessa società.
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