Mattarella, sette anni diversi e qualche sorpresa

di Stefano Folli

Gli applausi scroscianti dell’aula sono l’aspetto che hanno in comune il discorso di Mattarella e quello di Napolitano nel 2013. Per molti versi sono quasi l’unico aspetto. Ma tutti quei battimani non devono illudere. Napolitano fu molto presto deluso: non era consenso alle sue sferzate contro una classe politica svogliata, quello che si manifestava così rumorosamente. Era, si potrebbe dire, l’omaggio che il vizio rende alla virtù. Un allegro “grazie” al presidente che allora come oggi aveva accettato il “bis”; e che imponeva al Parlamento – o meglio, credeva di imporre – un programma di riforme politico-istituzionali come antidoto al declino. Non se ne fece nulla, come è noto, e non ci fu alcuna maturazione di un sistema sfibrato. Ci fu, è vero, un tentativo di riforma della Costituzione che andò verso il fallimento a causa di una catena di errori: di sostanza e di comunicazione.

Ammaestrato da quel precedente, c’è da credere che Mattarella eviterà di sentirsi troppo lusingato. Senza dubbio in quegli applausi c’è stima per la persona del presidente, ma c’è anche la gioia per lo scampato pericolo: ossia un rapido scioglimento delle Camere dovuto all’instabilità del quadro generale. Viceversa Mattarella rappresenta una garanzia di stabilità nell’anno che manca alla fine della legislatura. Ed è anche la garanzia che si procederà con un piano di riforme?

Qui il protagonista del secondo “bis” consecutivo nella storia della Repubblica è stato cauto. Tranne che su un paio di punti assai sensibili: primo, i rapporti con la magistratura e un Consiglio Superiore da trasformare per non renderlo ostaggio delle correnti; secondo, il tentativo di restituire una centralità perduta al Parlamento umiliato dall’uso dei decreti legge e dall’abuso delle votazioni di fiducia. Sono due punti che possono da soli caratterizzare la seconda presidenza rispetto a un primo mandato più anonimo, almeno per quanto riguarda la magistratura. I partiti e anche il governo Draghi sono avvertiti: nel cammino verso la ripresa post-Covid c’è molto da fare per tutti, se possibile in spirito di coesione nazionale. Ma non esistono rendite di posizione.

Qualcuno dirà che si tratta di frasi che il capo dello Stato avrebbe potuto pronunciare anche in decine di altre occasioni. Ma non è proprio così. È vero, sono mancati i toni drammatici consoni a illustrare l’evento eccezionale di un secondo mandato affidato all’uomo che più di tutti lo escludeva in quanto patologia del sistema. Però non si sfugge all’impressione che il presidente della Repubblica abbia voluto, con il suo stile che non è quello dei predecessori, marcare il passaggio a una nuova fase.

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