Non è un Paese per donne: si laureano prima e meglio, ma faticano a trovare lavoro
LUCA MONTICELLI
ROMA. C’è un incrocio pericoloso tra questione meridionale e questione femminile: al Sud lavora solo una donna su tre. L’allarme arriva da un rapporto di Confcommercio che rilancia i dati Istat: il tasso di occupazione delle donne nella fascia 15-64 anni nel Mezzogiorno è al 33,2%, contro il 59,2% al Centro-Nord e il 63% in Europa: 30 punti in meno rispetto alla media dei paesi dell’Unione.
«Per anni abbiamo sentito parlare del Sud come zavorra del Paese, dove era inutile investire nello sviluppo o nei servizi: questo è il risultato», dice a La Stampa Mara Carfagna, ministra per il Sud e la Coesione territoriale, che aggiunge: «Si scandalizza solo chi legge questi dati per la prima volta».
Scorrendo i numeri del 2019, elaborati per costruire lo studio, si scopre che c’è «un sud del sud» rappresentato dalla Calabria, dove il tasso di occupazione femminile è sceso dal 31 del 2017 al 30,3% pre pandemia. A livello nazionale le cose non vanno meglio. Se si prendono le tabelle Eurostat riferite al 2020, con il Covid la situazione si è aggravata. L’Italia resta la Cenerentola d’Europa (peggio fa solo la Grecia) con un tasso di occupazione femminile complessivo al 49%, tornato sotto la soglia del 50% dopo sette anni di continuo aumento, quando nel 2013 si attestava al 46,5%. Il divario con gli uomini supera ormai il 18%. Il terzo trimestre del 2021 mostra un rimbalzo che riporta ai livelli del 2019, comunque bassi. Un mondo totalmente diverso se si guarda alla Germania che vanta il 73% delle donne occupate.
Il gender gap italiano si misura anche nelle retribuzioni. Secondo Almalaurea le studentesse si laureano prima e con voti più alti, sono di più dei colleghi maschi, seguono tirocini ed esperienze all’estero, eppure fanno fatica a trovare un lavoro e quando ci riescono guadagnano in media il 20% in meno.
Penalizzate le donne con figli: le coetanee che non ne hanno contano il 25% in più di assunte. A conferma delle discriminazioni che si consumano in azienda, c’è il dato inserito dal ministero dell’Economia nell’ultimo bilancio di genere: quasi un milione e novecentomila donne ha un contratto part time involontario, mentre gli uomini a cui è stata imposta la riduzione dell’orario sono 849 mila, neanche la metà.
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