Di Maio lancia la sfida a Conte per la guida del M5S
Federico Capurso
Con una lettera indirizzata a Giuseppe Conte e a Beppe Grillo, Luigi Di Maio annuncia le dimissioni dal Comitato di garanzia del Movimento 5 stelle, di cui era presidente. Un passo indietro per una tregua. O meglio, una trasformazione della sua guerra con Conte: combattuta in campo aperto nell’ultima settimana e adesso, invece, destinata a tornare sotterranea. Perché se da una parte Di Maio cede un prezioso ruolo di potere, dall’altra si mostra come nuovo punto di riferimento dell’opposizione interna al partito: «Anche chi la pensa in maniera diversa deve avere spazio e la possibilità di esprimere le proprie idee. È fondamentale ascoltare le tante voci esistenti, e mai reprimerle». Si dice quindi pronto a «sostenere il nuovo corso, ma mantenendo la libertà di alzare la mano e dire cosa non va bene e cosa va migliorato». E attacca chi ha «provato a colpire e screditare». I parlamentari che gli sono vicini esaltano il «gesto distensivo per un confronto» e Di Maio, parlando con loro, ricorda la necessità di dialogo, anche per iniziare a parlare di temi, e chiede di «rimanere uniti per evitare l’esplosione dei gruppi».
La reazione di Conte è tutt’altro che conciliante. La affida a una nota, che viene firmata a nome del Movimento 5 stelle, in cui commenta le dimissioni come un «gesto dovuto e giusto», viste le «gravi difficoltà a cui ha esposto la nostra comunità», e si rinfacciano al ministro degli Esteri «percorsi divisivi e personali, tattiche di logoramento che minano l’unità e la forza politica del Movimento». Poi, con i suoi, si mostra soddisfatto del punto messo a segno, ma sa che non si può definire una vittoria piena. «Non accetterò guerre di logoramento – dice infatti a chi gli è vicino -. Un conto è avere opinioni diverse e discuterne, un conto è sabotare la linea comunemente decisa e condivisa». L’ex premier sa che Di Maio ha pagato un prezzo alto, ma è anche cosciente che ha ottenuto più di quanto sperasse. Il ministro degli Esteri ha creato un nuovo spazio in cui muoversi nel Movimento, quando sembrava ormai ai margini e soprattutto ha guadagnato tempo, utile ad aprire un percorso di logoramento della leadership di Conte che culminerà tra maggio e giugno, con i referendum sulla giustizia e con le elezioni amministrative. Due partite sulle quali il ministro degli Esteri da giorni scommette: «Conte si andrà a schiantare».
Ma Di Maio ottiene anche qualcosa di più importante e, forse, di insperato: il ritorno ad una nuova centralità di Grillo. Il fondatore interviene per la seconda volta in pochi giorni. Stavolta non per fare da arbitro tra i due litiganti, ma per tracciare la strada futura che dovrà percorrere il Movimento, dettando i temi politici sui quali dovrà concentrare i suoi sforzi. Insomma, fa il leader, nonostante ce ne sia già uno nel partito. Chiede a tutti di abbandonare «gli ardori giovanili» e di «passare alla maturità». Una frase che in molti, nel Movimento, interpretano come una sconfessione di quel desiderio di ritorno alla radicalità di un tempo, che ha riavvicinato nelle ultime settimane Conte e Alessandro Di Battista. Poi fissa un’agenda politica ispirata alle Lezioni americane di Italo Calvino, con cinque stelle polari: «Leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità». Ognuna di queste stelle contiene un elenco di idee, proposte politiche, progetti, tra le quali propone la «rotazione o limiti alla durata delle cariche, anche per favorire una visione della politica come vocazione e non come professione». Un passaggio che ha richiamato la questione del doppio mandato, che agita le truppe di Camera e Senato.
Finora il fondatore era rimasto in silenzio. Ora che Conte è in difficoltà, invece, sceglie di tornare a dettare la linea. E nei vasi comunicanti del potere grillino, il passo in avanti del garante rischia di tradursi in un indebolimento della leadership di Conte. L’ex premier, «quando ha letto il post di Grillo con la lista di cose da fare, non era entusiasta», racconta una fonte interna al partito. I parlamentari a lui più vicini cercano di smorzare: «Grillo è il nostro ideologo. Ha sempre fatto così. Poi, di rado le sue idee si rivelano realizzabili, ma servono a ispirarci».
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