Se anche i Cinque Stelle vogliono il Congresso

Alessandro De Angelis

Adesso l’ultimo tabù infranto, nell’eterna tenzone pentastellata, è il “congresso”, sia pur nominato con un certo pudore. «Non so se si chiamerà così, ma c’è bisogno di un momento di confronto chiaro, democratico e inclusivo»: lo dice testualmente in tv Vincenzo Spadafora, per nome e per conto di Luigi Di Maio, con un linguaggio degno di Arnaldo Forlani. In fondo, in assenza di “cavalli” di razza, alla bisogna vanno bene anche i “conigli mannari”, tra un detto e un non detto, un passo indietro da un comitato di garanzia per preparare un passo avanti, e una corrente da organizzare.

È la tardiva scoperta della democrazia, sia pur come difesa di una “agibilità democratica” di una minoranza (forse) che ambisce a diventare maggioranza – si diceva proprio così una volta – o di una maggioranza che vuole appalesarsi come tale e fare le liste, il prossimo anno, mica questione di poco conto: tornare in Parlamento o stare a casa. Comunque, sincera o strumentale, meglio tardi che mai, in un Movimento abituato a ratificare online le imposizioni dell’“uno che valeva tutti”, Grillo, fisicamente scomparso e poi ricomparso, in versione evangelica, per mettere in guardia tutti – sia Conte che bollò come «incapace» prima di una spigola riparatrice, sia Di Maio, che aveva “elevato” a capo prima dell’altro Elevato – dal “cupio dissolvi”. Neanche lui è più quello di una volta.

In attesa che la parabola si chiuda con un dibattito sullo statuto e sulla forma partito, si registra la più gigantesca delle nemesi storiche. Mai si era visto un tale rovesciamento delle aspettative e del mandato, nello spazio di una sola legislatura, apertasi con la richiesta di impeachment a Mattarella e chiusa con il bis, onore a Di Maio che ha favorito l’onda mentre Conte era impegnato in un revival gialloverde con Salvini. Lasciamo stare il tonno altrui e le scatolette. L’apriscatole si chiama trasformismo. Chi emise il primo vagito su quello altrui, sul proprio perisce, in assenza di una discussione identitaria degna di questo nome: nati per non allearsi con nessuno e seppellire tutti, dopo essersi schiantati prima in un governo con gli uni, poi con gli altri opposti agli uni, si alleano con tutti per sopravvivere, compreso lo “psiconano”.

Peraltro all’interno di un governo guidato da un altro simbolo, nei tempi che furono, dei poteri tecnocratici e opachi che governano senza trasparenza a dispetto del popolo. Anche lui, a un certo punto, è diventato il “supremo” cui affidarsi, dopo la caduta dell’Elevato, ma evidentemente non troppo “supremo” per il Colle, su cui l’ex-Elevato ha voluto elaborare il proprio lutto e misurare il suo potere sul competitor interno, che nel frattempo è cresciuto, unico forse ad aver messo nero su bianco un’autentica autocritica sulle proprie intemperanze giovanili, passando dai Gilet Gialli a solidi rapporti con le democrazie europee, al sostegno aperto a Draghi.

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