Governo, il corto circuito da evitare
È l’agenda-Draghi per il 2022. Un programma necessitato, non una facoltà. Anche a proposito dei fondi messi a disposizione del Mezzogiorno nell’incredibile protesta di governatori e sindaci del Nord. Come se la nazione si possa spaccare in due come una mela.
Molti partiti, in vista della corsa per il voto del prossimo anno, si sono convinti di poter dimenticare e soprattutto di far dimenticare la realtà agli elettori. Le forze politiche appaiono così di nuovo invecchiate. Le modalità seguite in questi giorni materializzano quella linea immaginaria oltre la quale si ripiomba all’interno di schemi resi vetusti da tutto quel che è accaduto con e intorno alla pandemia.
Pensare di affrontare, ad esempio, la sfida della riforma del Patto di Stabilità con le impostazioni del passato non è solo inutile ma controproducente. Il 10 marzo si terrà in Francia un Consiglio europeo informale che darà il via al confronto su questo terreno. L’esecutivo di Roma non può arrivarci indebolito e il sistema politico non può limitarsi a partecipare alla discussione con qualche luogo comune o con qualche modello stereotipato. Non rappresenta una questione secondaria. Non è altro dalla politica.
È un impegno che spetta anche ai partiti. Che dovrebbero avvertire l’obbligo di una elaborazione teorica all’altezza, anche originale. Ma di certo non assente. Per non ritrovarsi di nuovo un passo indietro come è accaduto fino a pochi mesi fa con il gasdotto Tap che arriva in Puglia e che adesso si sta rivelando una delle poche ancore di salvezza per i prezzi dell’energia e quindi per i costi che i cittadini sono costretti ad affrontare.
La politica italiana, insomma, non può legarsi mani e piedi solo alle questioni dei balneari. Non è e non può essere questo il traguardo per un governo e per una classe dirigente degna di questo nome. Non si può dimenticare che alle porte dell’Europa occidentale, in Ucraina, si staglia il pericolo di una guerra. Non si può trascurare che il nostro debito pubblico e lo spread dei tassi di interesse sono costantemente sotto pressione. Non si può far finta che la riforma della Giustizia è in primo luogo un dovere – come ha ammonito il capo dello Stato – per superare paradossi e nefandezze, ma anche un biglietto da visita da esporre a chi ci sta consegnando circa duecento miliardi di euro per realizzare le riforme.
Il futuro politico del premier, insomma, non può e non deve essere il nucleo portante del confronto di quest’anno. Draghi ha sgombrato il campo dai possibili pretesti. I partiti allora si concentrino sulla definizione dei loro profili. Sulla capacità di affrontare quel che accadrà dopo la primavera del prossimo anno. Si dimostrino all’altezza di assumere nuovamente la guida del Paese. Il “commissariamento” della politica, di cui si lamentano, lo devono contrastare in primo luogo loro. Il Paese ha bisogno di cogliere tutte le opportunità che si stanno presentando. Ma senza il perimetro europeo si riveleranno occasioni perse. Si perdono soprattutto se ci si nasconde dietro qualche scusa elettorale.
“Noi – diceva Carlo Azeglio Ciampi venticinque anni fa, nel 1997 – abbiamo cercato di costruire l’Europa e di tenerci dentro l’Italia. Poi toccherà a voi giovani, dovete dimostrare quello che sapete fare”. Ecco, forse i giovani di venticinque anni fa ora dovrebbero dimostrare quel che sanno fare.
REP.IT
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