Quei punti che restano da chiarire sul suicidio assistito
Maria Antonietta Farina Coscioni*
Per una sorta di coincidenza bizzarra (ma esistono le coincidenze?), questo nome, Mario mi suona come familiare. Non solo per la lucidità della scelta estrema che ripetutamente manifesta; penso piuttosto a quel “viaggio” intorno all’amore: all’amor proprio, che ha visto confermarsi a ridosso del giorno degli innamorati, a quel San Valentino da sempre dedicato agli innamorati.
Il farmaco che procurerà la morte di Mario ha un nome astruso, di difficile pronuncia: il tiopental sodico. Una commissione della Asur della regione Marche ha valutato che sia quello «idoneo a garantire una morte rapida e indolore». Per Mario si è anche definita la modalità di somministrazione (particolare non irrilevante che mancava): «Un’autosomministrazione mediante infusione endovenosa»; Mario dovrebbe avviarla con una parte del corpo che è ancora in grado di controllare.
Quindi, ora che conosce il farmaco, Mario potrà procurarsi la morte che da tempo invoca? Non è l’unico interrogativo che la vicenda solleva. Per esempio: se confermerà di volersi suicidare, chi lo assisterà? Ci sarà uno o più operatori sanitari ad aiutarlo in quel difficile, estremo, momento? E dove? Nella sua abitazione, o in ospedale, in un hospice? Questi interrogativi non sono scontati, e tantomeno sono scontate le risposte.
Vorrei che Mario si sentisse davvero libero di decidere di porre fine al suo dolore di vivere. Ora a maggior ragione. Al tempo stesso non vorrei mai che ci sia qualcuno, anche per il percorso accidentato fino ad ora compiuto, avesse deciso per lui.
Mi chiedo: non sarebbe il caso, ora, di svelare la vera identità di Mario? Anche in solidarietà e in nome di quella libertà a cui hanno dato volto e corpo tanti malati e disabili a partire da Luca Coscioni.
Ho parlato di coincidenze, che molto spesso sono incidenze. L’altro giorno il presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato, durante la riunione settimanale con gli assistenti di studio in vista delle prossime udienze, tra cui quella di martedì 15 febbraio sull’ammissibilità o meno dei referendum, ha espresso un concetto importante: «È banale dirlo ma davanti ai quesiti referendari ci si può porre in due modi: cercare qualunque pelo nell’uovo per buttarli nel cestino oppure cercare di vedere se ci sono ragionevoli argomenti per dichiarare ammissibili referendum che pure hanno qualche difetto. Noi dobbiamo lavorare al massimo in questa seconda direzione perché il nostro punto di partenza e consentire il più possibile il voto popolare».
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