“Lo escludo”: la fase tre di Draghi fatta di disincanto e distacco
“Lo escludo”, ripetuto due volte, e peccato che la scrittura non renda il tono della voce. Proviamo con gli aggettivi: fermo, un po’ più alto, forse ruvido, sia pur nell’eleganza dell’eloquio. Ed è chiaro, prevedibile, quasi scontato che Mario Draghi “escluda” discese in campo, finito il suo mandato, col centro, con la destra, con la sinistra, a capo di geometrie variabili del “Draghi dopo Draghi” o altre amenità di cui si nutre il chiacchiericcio politico nostrano. Però c’è qualcosa di più, nel rifiuto, plasticamente rivelato nella frase successiva, particolarmente dura e felice: “Vedo che tanti politici mi candidano in tanti posti in giro per il mondo, con sollecitudine, vorrei rassicurarli che, se volessi lavorare dopo questa esperienza, il lavoro me lo trovo da solo”.
Il modo, direbbe il poeta, ancor l’offende. È la rappresentazione plastica di un trauma, il Quirinale, non del tutto assorbito, e di una sua faticosa metabolizzazione, fatta di fastidio e di distanza da rivendicare, per quel che è stato ed è: la politica, anzi i “politici”, con i loro conti, il problema del consenso e del piacere, e un’ostilità manifestatasi oltre ogni livello di prevedibilità. E, al tempo stesso, dello sforzo di riprendere l’approccio precedente, con ritrovato distacco ma anche rigetto verso un mondo da cui si è sentito rigettato. Il ruolo della migliore riserva della Repubblica, chiamata a guidare l’Italia per portarla fuori dalla pandemia, ieri, e a riscostruirla oggi, in un contesto di cui elenca le “sfide” da far tremare le vene ai polsi, elencate con realismo, consapevolezza e chiarezza di vedute: l’energia, l’inflazione “che sta aggredendo il potere di acquisto dei salari”, il Pnrr da completare di cui cita un eccellete stato di avanzamento, cui si aggiunge il “rischio” di tensioni internazionali in Ucraina, col Mediterraneo come convitato di pietra.
“Il dovere del governo è proseguire su questa strada chiedendosi cosa è importante per gli italiani”, punto, dice il premier alla sua prima conferenza stampa dopo il Colle. E dopo che, nell’ultima, antecedente ad essa, aveva evitato di pronunciarsi sulla durata e sul destino del governo. È la fotografia di una “terza fase” di Draghi, animato dalla volontà di tornare a “fare Draghi”, in un contesto però segnato dalla fine dell’incanto oggettivo e dal disincanto personale che sconfina nella delusione. La terza, dopo quella dell’uomo della necessità vissuto dall’opinione pubblica quasi come uomo della provvidenza, subìto da un sistema politico collassato, ma in quanto collassato, strutturalmente impossibilitato a contrastarlo di fronte un’emergenza oggettiva. E dopo quella del Quirinale, la seconda, segnata dal dominio della mediazione politica sul governo, come conseguenza di un’autocandidatura che a quel sistema collassato ha ridato potere negoziale e protagonismo.
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