Giorgetti: «Stiamo drogando l’edilizia. Invece dobbiamo sostenere le nostre filiere industriali»
di Federico Fubini
Il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti
«Restiamo oggettivi», dice Giancarlo Giorgetti dalla quarantena dove aspetta di tornare negativo. Bisogna esserlo anche rispetto a una situazione che sfugge allo sguardo della politica: la trasformazione energetica, tecnologica e industriale rischia di aprire ferite sociali («milioni di disoccupati», dice lui) e generare contraccolpi nelle urne. Anche per questo — dice il ministro dello Sviluppo — della cronaca «è meglio non parlare, perché non cambierebbe molto: c’è stato un clima di sospensione durato fino al voto per il Quirinale, quindi i partiti saranno proiettati sempre di più verso il traguardo delle elezioni. Il governo deve lavorare nel modo più efficace possibile in questo quadro».
Ministro, Mario Draghi è duro sulle frodi attorno ai bonus edilizi. Concorda?
«Sì, del Superbonus bisogna parlare perché da più parti si chiede che torni la politica industriale in Italia».
Che c’entra con il Superbonus?
«C’entra,
perché in legge di Bilancio il governo aveva cercato di limitarlo, poi
il Parlamento ha deciso di allargare le maglie, anche troppo. Ora
costerà moltissimo. Stiamo mettendo un sacco di soldi sull’edilizia che,
per carità, può aver avuto senso sostenere nella fase più dura della
pandemia e di certo contribuisce chiaramente alla crescita. Ma ora
droghiamo un settore in cui l’offerta di imprese e manodopera è
limitata. Stiamo facendo salire i prezzi e contribuiamo all’inflazione».
Sussidiare l’edilizia non spinge molto la produttività. Non era meglio pensare all’industria?
«Chiediamoci
cosa può fare lo Stato di fronte alla rivoluzione digitale e energetica
o allo choc che investe l’automotive, che deve uscire dai modelli
endotermici tradizionali. Invece diamo soldi ai miliardari per
ristrutturare le loro quinte case delle vacanze. Ride tutto il mondo.
Intanto rischiamo che dilaghi la disoccupazione nell’industria spiazzata
dall’imposizione del passaggio all’auto elettrica entro il 2035. Se ci
sono decine di miliardi per ridisegnare le filiere industriali, bene. Ma
in caso contrario, che stiamo facendo? Droghiamo certi settori e ne
lasciamo a languire altri, quelli strategici per l’Italia».
Carlos Tavares di Stellantis
dice che il passaggio all’elettrico è una scelta politica e avrà costi
sociali. Volkswagen ci investe 86 miliardi. Lei con chi sta?
«La
penso come Tavares. Va abbattuta la Co2, sì. Ma manca una valutazione
industriale, sulla sovranità tecnologica e l’autonomia strategica
dell’Europa. In tutta questa febbre per l’auto elettrica, chi fornisce
le materie prime è la Cina. È lì il controllo di gran parte del litio,
cobalto, silicio. Significa mettere il primo settore manifatturiero
d’Europa in mano ad altri, lontano da noi. Possibile che nessuno ci
pensi?».
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