L’Occidente e il gran ballo con l’orso post-sovietico
Resta da capire cosa può e deve fare l’Occidente. Quello che vuole Putin si desume da una sua frase di qualche anno fa: “Chi volesse restaurare l’Urss sarebbe un uomo senza cervello, ma chi non ne ha rimpianto e nostalgia è un uomo senza cuore”. Abbastanza chiaro, tutto sommato. Meno chiaro, come ha scritto Lucio Caracciolo sul nostro giornale, è cosa voglia Biden, mai così debole e alle prese con una crisi di consensi che fa temere ai democratici il fallimento della sua presidenza. Lo scrive Michael Tomasky, sulla “New York Review of Books”: nonostante i record dell’economia americana, crescita del Pil al 7,8 per cento, reddito reale disponibile in aumento del 3 per cento e 6,1 milioni di nuovi posti di lavoro (4 milioni in più rispetto alle Amministrazioni di Trump e Bush messe insieme) il suo indice di popolarità è negativo da agosto. E la sconfitta bruciante del candidato democratico per scegliere il governatore della Virginia non promette nulla di buono, in vista delle elezioni di MidTerm. Usando gli schemi del secolo scorso, un conflitto con il vecchio nemico di una volta darebbe una mano al presidente. Ma per quanto sia un gigante con i piedi d’argilla, attaccare Putin finirebbe solo per spingerlo più velocemente tra le braccia di Xi Jinping, assecondando la nascita di quell’Asse delle Autocrazie che abbiamo visto plasticamente all’opera alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi invernali di Pechino. Per Washington sarebbe un errore fatale, uguale e contrario a quello di Mosca. Un favore enorme alla Cina, che per l’America è in ogni senso il vero pericolo di qui ai prossimi vent’anni.
Da ultimo, resta da capire cosa può e deve fare l’Europa. E qui, purtroppo, c’è poco da sperare. Una politica estera dell’Unione non c’è e non c’è mai stata. Ci sono i tour diplomatici dei singoli capi di Stato, che fanno la spola da Parigi e Berlino ma poi se ne tornano a casa a mani vuote (o al massimo con una fotografia iconica, tipo quella di Macron e Putin seduti a un tavolo ovale di sconfinata lunghezza, che già di suo misura l’incolmabilità di una distanza non solo fisica, ma anche politica). E c’è l’Italia di Mario Draghi, che ha provato a giocare qualche carta nelle settimane scorse ma che adesso non è in condizione di assumere un ruolo di primo piano, né in termini di azione né in termini di mediazione. Possiamo solo auspicare che alla fine il lume della ragione prevalga. Che si possa innescare una de-escalation militare. Ma dobbiamo anche sapere che se pure la guerra di eserciti non esplodesse, ci aspetta comunque una dura e difficile guerra di logoramento. L’Occidente dovrà dimostrarsi capace di resistere a lungo all’offensiva che Putin ha già dimostrato di saper condurre, tra la pressione dei prezzi dell’energia e la crisi sociale che ne nasce, la campagna di disinformazione e l’instabilità politica che ne deriva. Lo scrive il politologo Ivan Krastev su “Internazionale”: forse l’invasione dell’Ucraina si può ancora scongiurare, ma gli europei devono essere consapevoli che non potranno evitare questo “test di resilienza”. Come dice un proverbio russo: se inviti un orso a ballare, non sei tu a decidere quando finisce il ballo. È l’orso.
LA STAMPA
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