Diseguaglianza economica: un’ingiustizia sociale e un freno alla crescita

Ma perché la diseguaglianza economica è così importante? Certamente si tratta di un’attenzione ai temi della giustizia sociale. Ma è solo per questo che il tema è stato posto così in evidenza nell’atto di insediamento delle prime due cariche dello stato ? In realtà, per sottolineare il fatto che non sia solo questo il tema, in un passo successivo del suo discorso il Presidente Mattarella, opportunamente, aggiunge « Le diseguaglianze non sono il prezzo da pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno di ogni prospettiva di crescita ». In effetti la relazione tra diseguaglianza e crescita al quale fa riferimento il Presidente della Repubblica è un tema che ha affascinato intere generazioni di economisti. Essa dipende da un gran numero di fattori, ma gli argomenti più convincenti, su cui concordano la maggior parte degli studiosi, vanno nella direzione di un meccanismo circolare di causazione. In estrema sintesi: elevati livelli di crescita del reddito pro-capite sembrano il più delle volte portare all’acuirsi della concentrazione dei redditi nelle mani di pochi percettori e, dunque, a una maggiore diseguaglianza. Tuttavia, non si deve interpretare questo meccanismo come la possibilità che crescita e diseguaglianza possano convivere a lungo in quanto livelli elevati di diseguaglianza instaurano un meccanismo di causa-effetto di segno opposto il quale tende a rallentare la crescita. In assenza di interventi redistributivi ciò può innescare una spirale che, nelle fasi mature dell’economia, può condurre all’implosione del sistema economico. Tale spirale regressiva può essere solo arrestata con un deciso intervento redistributivo. Vorrei osservare, prima di andare più oltre, che tali considerazioni prescindono dalle diverse inclinazioni politiche che si possono avere sull’argomento e, a giusta ragione, su di esse il Presidente Mattarella ha richiamato l’impegno di tutte le forze dell’arco Costituzionale. In effetti, nel suo celebre saggio del 1994 (“Destra e sinistra”) il filosofo Norberto Bobbio sostiene come proprio la concezione della diseguaglianza sia alla base delle diverse inclinazioni politiche chiamando in causa le due posizioni paradigmatiche di Jean Jacques Rousseau e di Friedrich Nietzsche. Rousseau, infatti, sostiene che tutti gli uomini sono uguali all’inizio, ma la società che sostituisce lo “stato naturale” degli antichi, li trasforma e li rende diversi. Friedrich Nietzsche, invece, ritiene che le cose si svolgano esattamente all’opposto: tutti gli uomini sono diversi per loro natura ed è solo la Società che li convince che sono uguali attraverso quella che egli chiama la religione della compassione. Seguendo le idee di Rousseau, un sostenitore della sinistra dovrebbe, pertanto, sostenere quelle scelte che incoraggino la riduzione delle disparità tra gli individui tendendo a ricostruire l’originale “stato naturale” in cui tutti gli individui hanno uguale accesso ai beni della terra e ai loro frutti. Al contrario, un seguace del pensiero di destra dovrebbe concepire la politica come l’insieme di regole tese a incoraggiare e aiutare tutte le iniziative dei singoli individui (diversi nelle capacità e nelle abilità) anche qualora queste producessero una maggiore e ulteriore diseguaglianza. Tuttavia, per comprendere la ragione per la quale la lotta alla diseguaglianza è un argomento sul quale debbano convergere posizioni politiche molto diverse, è utile riflettere sulle “cause” della diseguaglianza stessa, e chiarire che i differenziali di reddito osservati tra gli individui possono dipendere da due fattori distinti con implicazioni diametralmente opposte. Facendo proprio riferimento alle categorie Rousseauiane si può, infatti, affermare che essi possano essere dovuti a differenze naturali e a differenze sociali. Le differenze naturali tra individui, ad esempio nel loro quoziente intellettivo, nelle loro capacità relazionali, nelle loro abilità manuali ecc., conducono, infatti, a una diversa produttività del lavoro la quale, secondo i principî neoclassici si traduce in differenziali salariali e quindi in diseguaglianza dei redditi. Tuttavia, tale diseguaglianza è una diseguaglianza “buona” essendo essa associata a fattori stimolanti la crescita economica. Chi può dissentire dall’economista Gregory Mankiw quando afferma che l’approdo di un imprenditore geniale sulla perfetta isola di Utopia dove tutti hanno il medesimo reddito abbia un effetto positivo per tutti gli abitanti? In effetti dalla sua attività imprenditoriale tutti ne beneficiano sia in via diretta, per la soddisfazione derivante dall’innovazione introdotta, sia indirettamente per la domanda di lavoro che essa genera. Tuttavia, in un sistema incontrollato, l’innovatore (e in misura crescente i suoi discendenti non necessariamente dotati delle medesime qualità naturali) andrebbe via via beneficiando di vantaggi competitivi, rendite di posizione e barriere all’entrata i quali, a lungo andare, potrebbero generare differenziali di reddito basati non più su diseguaglianze naturali, ma sociali. Questo secondo tipo di diseguaglianza che può venire ad instaurarsi è una diseguaglianza, diciamo così, “cattiva” destinata a frenare anziché accelerare lo sviluppo economico. In effetti, la diseguaglianza nei redditi dovuta a cause naturali non può che avere un effetto benefico per lo sviluppo e la crescita economica, attraverso il meccanismo degli incentivi, dal momento che alcuni produrranno più di altri a merito delle loro capacità individuali. Al contrario la presenza di diseguaglianze sociali non può che frenare la crescita attraverso un’infinità di meccanismi differenti che vanno dalla ricerca delle rendite di Joseph Stiglitz, alla autoriproduzione del capitale di Thomas Piketty o ai fallimenti del mercato del credito e la stabilità sociale invocati da Robert Barro. Politiche economiche che abbiano a cuore l’obiettivo della efficienza del sistema e della crescita dovrebbero dunque favorire il primo tipo di diseguaglianza con l’incentivazione del merito e reprimere, invece, con decisione il secondo tipo a prescindere dalle posizioni politiche. In questi anni caratterizzati dalla pandemia l’Italia sta sperimentando bassi tassi di crescita del reddito pro-capite congiunti a crescenti livelli della diseguaglianza dovuta a fattori sociali e non naturali. Stante la relazione tra le due variabili ciò può portare a una contrazione ulteriore dell’economia fino al suo collasso.

Le ricette disponibili per evitare che ciò accada sono estremamente semplici nella loro sostanza e destinate a raggiungere i propri obiettivi purché si sia disposti ad attenderne con pazienza gli effetti. Innanzitutto, la realizzazione di una maggiore progressività dell’imposta sul reddito. In tal senso la riforma fiscale avviata con la Legge di bilancio per il 2022 è stata sin troppo timida con modifiche modeste per i redditi più bassi, e nessun intervento sull’imposta di successione attualmente caratterizzata da aliquote molto basse e non progressive e che, contrariamente all’imposta sul reddito, non produce effetti negativi né sui consumi né sugli investimenti.

Investimenti in capitale umano e nella ricerca scientifica

Inoltre, le risorse derivanti dal PNRR dovrebbero far crescere l’investimento pubblico in capitale umano (andando a valorizzare le differenze naturali tra gli individui) e nella ricerca scientifica, i quali rappresentano i due motori principali della crescita. Tali misure sarebbero di sicuro beneficio per la crescita economica e andrebbero a vantaggio di tutte le componenti sociali. Andrebbero al contempo a realizzare quella redistribuzione dei redditi in senso maggiormente egualitario che stimolerebbe ulteriormente la crescita. Le società umane si sono da sempre avvicendate nel palcoscenico mondiale a seguito di eventi naturali, demografici, invenzioni o guerre attraverso i quali alcune culture si sono imposte e altre si sono eclissate. La fase drammatica che stiamo vivendo acuita negli ultimi anni dalla emergenza legata alla pandemia richiede un intervento deciso nell’azione pubblica con ritorni che saranno necessariamente dilazionati nel tempo. Per quanto detto il richiamo del Presidente Mattarella non va però inteso innanzitutto come un problema etico di lotta alla povertà e di solidarietà sociale sui cui temi si possono avere posizioni diverse in base alle diverse inclinazioni politiche. È invece essenzialmente un problema di sopravvivenza del sistema economico stesso che da tali inclinazioni prescinde. La battaglia su questo fronte è estremamente ardua e richiede decisione, tempo e pazienza, ma se non la si combatte siamo già rassegnati a perdere la grande occasione che la storia ci concede e a cedere il passo ad altre civiltà così da andare a occupare solo un posto importante nei libri di storia. In quel momento non si discuterà più nel nostro Paese di ricchezza e di povertà, né di diseguaglianza economica né di pensiero di destra e pensiero di sinistra.

* (Ordinario di Statistica Economica – Dipartimento di Scienze Statistiche -Facoltà di Economia Università Cattolica, Roma)

LA STAMPA

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