Referendum e Corte Costituzionale, Amato e il disagio per alcune bocciature: «Non possiamo correggere quesiti mal formulati»

La decisione di bloccare il referendum è stata comunque travagliata e non unanime; qualche giudice (cinque su quindici, secondo le indiscrezioni trapelate) riteneva possibile l’ammissibilità. Ma ha prevalso il rigetto. Che non significa che tutto debba restare com’è, ma per cambiare attraverso un referendum ci voleva un quesito diverso. Allo stesso modo di quello riguardante la legalizzazione della cannabis che — secondo un corretto utilizzo delle parole — avrebbe dovuto chiamarsi «legalizzazione della coltivazione delle sostanze stupefacenti». Perché per come era scritta, la proposta da sottoporre ai cittadini, la vittoria dei «sì» avrebbe esteso la legalizzazione anche a eroina e cocaina, con conseguente violazioni di obblighi internazionali e andando oltre l’obiettivo sottinteso al referendum.

Se a queste due bocciature si aggiunge quella che impedisce la consultazione sulla responsabilità civile diretta dei magistrati nei confronti di una presunta parte lesa, senza più l’intermediazione dello Stato, il risultato è che la Corte ha impedito il voto sulle questioni più popolari e sentite dalla cittadinanza. «Così la vicenda referendaria assume un peso decisamente marginale, anche se comunque salutare», commenta l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente delle Camere penali e antico militante radicale. Alla Corte ne sono consapevoli, ma resta la convinzione che non potesse andare diversamente. Lo lascia intendere ancora Amato, quando spiega che dalla discussioni su ciascun quesito è emerso quasi sempre un orientamento chiaramente maggioritario, se non unanime, e dunque non c’è stato nemmeno bisogno di votare.

A parte l’eutanasia e la cannabis (anzi: l’omicidio del consenziente e le droghe), quello sulla responsabilità civile dei giudici sarebbe stato un referendum «innovativo più che abrogativo», operazione non consentita dalla Costituzione. E nessuna valenza politica, nemmeno in questo caso. Forse nei risultati, ma non dipende dalla Corte. E così per le consultazioni dichiarate ammissibili: «Non è detto che attribuire agli avvocati le prerogative riservate ai magistrati nei consigli giudiziari, o cancellare l’incandidabilità di condannati, siano le soluzioni migliori; noi diciamo solo che non ci sono ragioni per impedire che ciò possa avvenire per via referendaria».

Del resto la stessa Corte ha dichiarato più volte costituzionale la legge Severino che prevedeva le norme che ora i referendari vogliono abolire. «A ognuno il suo mestiere», si sente ripetere nel «palazzo dei diritti». Dove tutti hanno chiaro che i referendum abrogativi non possono essere la strada maestra per fare le riforme, e non serve lamentarsi se a volte la si trova sbarrata perché così vuole la Costituzione.

CORRIERE.IT

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