Villa Crisanti

IL CAFFÈ DI GRAMELLINI

di   Massimo Gramellini

Dopo una vita di lavoro, uno stimato professionista di sessantasei anni decide di soddisfare la sua grande passione per il restauro e acquista con la moglie una villa veneta del Cinquecento per meno di due milioni, accendendo un mutuo e dando fondo ai risparmi di famiglia. Perché quest’ uomo è costretto a giustificarsi come un ladro e a dichiarare pubblicamente di condurre un’esistenza morigerata e di non essersi arricchito con il Covid? Perché si tratta di Andrea Crisanti, il virologo tendenza crisantemo che per due anni si è affacciato in televisione a dirci che le cose andavano male ma sarebbero andate peggio se non ci fossimo comportati meglio. Quindi chi si erge ad autorità morale o, come nel caso di Crisanti, lo diventa sull’onda di un’emozione collettiva, secondo un pregiudizio diffuso dovrebbe prendere i voti di povertà.

Di per sé la ricchezza non infastidisce il pubblico, se colui che la ostenta è un gaudente e non pretende di suggerire regole, anzi si diverte un mondo ad aggirarle. Se invece il benessere economico arride a chi è salito, o si è ritrovato, su una cattedra da cui ha impartito lezioni su ciò che è bene e ciò che è male, immediatamente scatta il sospetto dell’interesse personale, neanche Crisanti fosse il socio occulto di una multinazionale che produce tamponi e mascherine.

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