Claudio Descalzi: “Il prezzo del gas destinato a calare, ma non tornerà più quello di prima”
Un’eventuale guerra in Ucraina quanto impatterebbe sui prezzi di gas e petrolio?
«Anche
quando c’è stata la guerra in Ucraina il gas è sempre arrivato, perché
non è stato interessato dalle sanzioni. Se si bloccasse la conduttura
ucraina, si potrebbe sfruttare quella che viene dalla Bielorussia che è
praticamente vuota. Se invece ci fossero delle sanzioni sul gas, e si
dovesse interrompere completamente il flusso che viene dalla Russia,
ossia 140-150 miliardi di metri cubi l’anno, l’Europa non avrebbe
capacità di compensarli. Sarebbe una disruption importante. E peserebbe
moltissimo sui prezzi».
E il petrolio dove arriverà?
«Per giugno, secondo
Aie e Opec, potrebbe raggiungere i 100 dollari al barile. Ora è a 94
dollari, se continua l’escalation potrebbe arrivare a valori ancora più
importanti. Se entrassero nuove produzioni il valore potrebbe essere
attenuato. Tutte le aree interessate – penso a Medio Oriente, Africa,
Russia, Iraq, Usa – con questi prezzi intensificano le produzioni: loro
hanno in mano la chiave per poter dare più offerta e ridurre i prezzi».
Non si rischia di frenare la decarbonizzazione?
«Per
quel che riguarda le società europee e l’Eni in particolare, no. Il
nostro obiettivo è mantenere piatti gli investimenti soprattutto
nell’estrazione e riuscire a crescere sempre più velocemente negli altri
business, proseguendo nella trasformazione».
Avete chiuso il 2021 con un bilancio che non si vedeva dal
2012. Il petrolio immagino vi abbia aiutato, ma cosa ha fatto la
differenza?
«Nel 2012 i prezzi del petrolio erano oltre i
110 dollari. La differenza è stata fatta dalla grande disciplina sugli
investimenti. Sul punto abbiamo mantenuto gli stessi livelli del 2020,
nonostante la situazione covid dell’anno non fosse normalizzata, e
investendo circa un 20% nella trasformazione: siamo stati molto attivi
nell’acquisizione di capacità nelle energie rinnovabili, nell’espansione
in Spagna, Francia e in Grecia. Abbiamo abbassato di 2,6 miliardi il
debito».
Rispetto a dieci anni fa siete molto diversi, è così?
«Quando
il greggio era a 110 dollari eravamo molto più costosi, con modelli
gestionali completamente differenti. Siamo riusciti a mantenere la
macchina in carreggiata nonostante due anni di covid. Abbiamo portato la
nostra neutralità di cassa da 52-53 dollari a 40 dollari: vuol dire che
già a tale livello di prezzo riusciamo a ripagarci tutti gli
investimenti. Una soglia che non avevamo mai raggiunto prima d’ora».
Quanto pesano i nuovi business e le energie rinnovabili?
«Il
risultato di Plenitude, la società che quoteremo entro l’anno e che ha
dentro i clienti retail ma anche quasi 2 gigawatt da fonti rinnovabili,
capacità più che triplicata in un anno, rispetto all’anno scorso è
migliorato del 25%, con un margine operativo lordo di 600 milioni,
anticipando le aspettative».
La produzione di idrocarburi è aumentata del 2,7%. C’è ancora spinta a cercare nuovi giacimenti o viene meno a favore della trasformazione del business?
«Sta venendo meno a favore della trasformazione. Cambiano i modelli di business. Noi l’avevamo già mutato 5-6-7 anni fa. Stiamo cercando un’esplorazione poco rischiosa, vicino a installazioni esistenti per ridurre gli investimenti perché le installazioni ci sono già. Anche se la domanda è tornata vicina a quella che c’era nel 2018-2019, gli investimenti che si allocavano prima nell’upstream non ci saranno più. Siamo in una situazione in cui si deve guardare al breve termine ma investire per il futuro. Ecco perché è essenziale essere disciplinati».
LA STAMPA
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