Medici di base in crisi dopo la pandemia, sanità senza assistenza

Tutto questo per uno stipendiuccio di 7.895 euro lordi mensili. Cosa facciano per questa bella sommetta, che resta tale pur detratte le spese per studio ed eventuale segretaria, ce lo dice la classifica stilata dall’Osservatorio Ue sulle politiche sanitarie, che in quanto a funzioni svolte colloca i nostri medici di medicina generale al penultimo posto, davanti solo alla Slovacchia. «Il punto nodale – spiega l’economista sanitario dell’Università di Milano, Vittorio Mapelli – non è tanto la loro mancata subordinazione alla Asl quanto piuttosto l’assenza di programmi, indirizzi e risorse da parte di aziende sanitarie e Regioni». Lo dimostrano due fatti. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, con la finaziaria 2020 riuscì a rastrellare 235 milioni per l’acquisto di apparecchiature diagnostiche destinate agli studi dei nostri dottori di fiducia. La palla è passata alle Regioni e in due anni non se ne è fatto nulla. Le Case di comunità, che ora ci si prefigge di costruire con i soldi del Pnrr, furono istituite nel 2007, per far lavorare i medici di famiglia insieme a specialisti e infermieri, in modo da garantire assistenza per tutte le ore diurne 7 giorni su 7, offrendo anche accertamenti diagnostici di base. Il servizio studi della Camera lo scorso anno ne ha contate appena 493 anziché le 2.564 che dovrebbero essere in base allo standard di una ogni 24.500 abitanti, che Speranza vuole ora garantire con i fondi europei.

Peggio ancora è andata con gli «ospedali di comunità», altro punto cardine della riforma dell’assistenza territoriale, che il ministro si accinge a presentare sotto forma di legge o decreto. Previsti dal patto per la salute 2014-2016, in metà delle regioni sono rimasti solo sulla carta. Eppure dovrebbero dare una bella mano a risolvere il problema dei 14 milioni di malati cronici, che non hanno più bisogno dell’ospedale ma non possono nemmeno essere assistiti a casa. Tanto più che l’assistenza domiciliare è una chimera per buona parte di loro, soprattutto al Sud. Una piaga aperta, questa volta non dalla pandemia che l’ha solo evidenziata, spingendo ora il governo ad agire.

La riforma concordata da Speranza con le Regioni punta forte sulle Case di comunità, dove ci si potrà rivolgere 7 giorni su 7 e 24 ore su 24 non solo per farsi visitare, ma anche per eseguire analisi e accertamenti di primo livello. E per farle funzionare scatterà una rivoluzione poco gradita ai medici di famiglia, che dalle attuali 15 ore settimanali di apertura dei loro studi passeranno a lavorarne 38: 20 nel proprio studio, le altre nelle Case di comunità o dove il distretto sanitario deciderà di collocarli. Le Regioni chiedono di poterli trasformare in dipendenti per esercitare un maggior controllo. Secondo il ministro il loro rapporto di lavoro può restare così com’è. Una diatriba da sciogliere al più presto, perché senza progetti operativi a maggio rischiamo di perdere i 7 miliardi del Pnrr destinati a rafforzare la trincea del territorio. Che così com’è non regge nemmeno l’urto dei bisogni di assistenza in tempo di pace.

LA STAMPA

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