Il paradosso dello Zar

Augusto Minzolini

L’epica sovietica aveva un’icona: la battaglia di Stalingrado. Quell’episodio è il paradigma dell’eroismo riconosciuto sia dalla Russia comunista, sia da quella nazionalista, che ha rispolverato la bandiera con l’aquila bicipite nera dei Romanov. Ebbene, non è detto che i tornanti di una guerra imprevedibile non trasformino oggi Kiev in una nuova Stalingrado. Con gli ucraini nei panni dei russi di ieri e i russi di oggi nel ruolo dei nazisti. Gli ingredienti ci sono tutti: c’è la guerra patriottica di popolo invocata dal presidente Zelens’kyj; c’è la battaglia cruenta che potrebbe trasformarsi in uno scontro casa per casa; ci sono gli eroismi solitari, a cominciare dall’episodio del soldato che si fa saltare in aria per bloccare i carri armati; c’è la presunzione dei generali russi di stravincere in un giorno che ricorda quella dello stesso segno dei generali tedeschi; e c’è la disperazione degli ucraini che è stretta parente di quella dei soldati dell’armata rossa di allora. Le due città si trovano sullo stesso parallelo, Stalingrado, cioè Volgograd, a 1300 km ad est di Kiev e, per uno scherzo della Storia, coincidono pure le date: l’assedio cominciò nel 1942 e terminò nel febbraio del 1943. Esattamente 80 anni fa.

Il paragone aleggia in queste ore. Vladimir Putin che è l’anello di congiunzione tra le due Russie – l’uomo che con un piede in quella comunista di un tempo si è inventato quella nazionalista di oggi – ne è quantomai consapevole. Anche lui si è cibato di quell’epica, di quella retorica. E in una guerra tutta mediatica come quella a cui stiamo assistendo, il paragone potrebbe rivelarsi esiziale per far pendere la narrazione dalla parte di Zelens’kyj.

Kiev-Stalingrado rappresenta, infatti, il paradosso di Putin: lo Zar al Cremlino celebra l’eroismo degli assediati di Stalingrado, mentre a Kiev si ritrova appiccicata addosso l’immagine odiosa degli assedianti. È l’immagine che più teme. Quella che ha dato spunto ai ritratti irriverenti che lo raffigurano con i baffetti e il ciuffetto del fuhrer. Ed è il racconto a cui tenta di reagire e di sfuggire, mettendo al centro degli obiettivi dell’invasione dell’Ucraina, non per nulla, la «denazificazione» del Paese. Dimenticando, però, che l’uomo simbolo della resistenza di Kiev, Volodymyr Zelens’kyj, è ebreo.

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