Anche McDonald’s va via: chiudono 850 punti vendita in Russia
Sulla piazza Pushkin, una delle più centrali della capitale, adornata dal monumento al poeta nazionale, si formarono subito lunghissime code: ben presto molto più lunghe di quelle, in verità sempre più esangui, per visitare il mausoleo di Lenin sulla piazza Rossa. Chi scrive, in quei giorni corrispondente di “Repubblica” da Mosca, ricorda bene lo spettacolo della fila per acquistare un hamburger nonostante il gelo e la neve.
Era l’inizio di una parziale privatizzazione dell’economia. Era l’apertura ai consumi e ai costumi occidentali. Era il preludio della fine del comunismo sovietico e del crollo dell’Urss, che sarebbe giunto in meno di due anni. Adesso che Putin ha ripristinato il totalitarismo e la guerra fredda, la chiusura dei McDonald’s sembrerà ai russi un ritorno al passato, un passo indietro lungo più di trent’anni. Il capo del Cremlino può anche censurare le notizie sulla guerra in Ucraina, anzi vietare l’uso della parola guerra, ma non potrà nascondere al suo popolo che da domani i McDonald’s resteranno chiusi. Il segno più tangibile che qualcosa è cambiato.
Anche Starbucks e Coca Cola via dalla Russia
Via dalla Russia anche il gigante del caffè e la Coca Cola. La pressione sui social era cresciuta, insieme alle minacce di boicottaggio. Dopo giorni di silenzio i due colossi hanno deciso di lasciare Mosca. Starbucks Corps sospende tutte le attività, chiude i suoi punti vendita e i suoi ristoranti, anche quelli affidati in gestione e non spedirà più i suoi prodotti. Ha garantito che si preoccuperà di sostenere economicamente chiunque faccia affari con loro, direttamente o indirettamente. La società, che ha sede in Kuwait, ha assicurato che “fornirà supporto ai 2000 partner che dipendono da Sturbucks”. Coca Cola è stata l’ultima a decidere di andare via, ma alla fine anche l’azienda della bibita più venduta al mondo ha ceduto: ha annunciato la sospensione di tutte le attività in Russia, specificando che “proseguirà a monitorare la situazione”.
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