Monumenti spenti, termosifoni bassi: il piano di emergenza del governo

di Tommaso Ciriaco ,  Giuliano Foschini

ROMA – Spegniamo di notte i nostri monumenti, ad eccezione di quelli più famosi. Spingiamo l’interruttore delle luci che illuminano le facciate dei palazzi, riduciamo la corrette negli uffici comunali. Prepariamoci a mangiare meno pane, pasta, pizza. Abbassiamo di un grado il riscaldamento di casa. Se possibile, disattiviamo un’ora prima i termosifoni.

Non siamo in guerra. Ma prendiamo in considerazione di poter vivere qualche giorno, settimana, così. Dobbiamo tenerci pronti a uno scenario di emergenza estrema. Come questo, appunto. Lo scenario è quello che – per la prima volta – è stato disegnato in queste ore a Palazzo Chigi sul tavolo del Nisp, una sorta di gabinetto di guerra coordinato dalla Presidenza del Consiglio, insieme con ministri e vertici dell’intelligence, che ha il compito di monitorare la situazione della crisi. Prospettive delle quali già oggi si discuterà in consiglio dei ministri.

La crisi dei cereali

A mettere sul tavolo la gravità della situazione è stato il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che ha aggiornato il sottosegretario alla presidenza, Roberto Garofoli, il ministro dell’Economia, Massimo Franco, quello della Transizione energetica, Roberto Cingolani di come su alcuni fronti la situazione stia precipitando: “Abbiamo grossi problemi di approvvigionamenti, come nel resto di Europa, sui mangimi e sementi per i nostri animali. C’è un problema per i rottami di acciaio e l’argilla e, più in generale, su tutto quello che arriva da Russia, Ucraina e dalla rotta Est-Ovest. Le scorte sono esaurite”. La vicenda ha un solo precedente nel 2006, proprio ai tempi di un’altra crisi tra Ucraina e Russia. Ma il fatto che oggi non si veda luce all’orizzonte, rende tutto più preoccupante. Talmente tanto che qualcuno al Mise è arrivato addirittura a ipotizzare una misura unica, il blocco dell’export. L’idea più concreta, però, è quella di orientare la vendita dei produttori italiani di materie prime verso le aziende delle nostre filiere. Anche a costo di pagare un prezzo maggiore di quello sostenuto finora. Compensando queste ultime con incentivi mirati, che però aggirino in qualche modo il divieto degli aiuti di Stato.

L’energia

Se la crisi alimentare è quella che dovrà essere affrontata già nelle prossime ore, l’aspetto che preoccupa di più è quello sul fronte energetico. Dal 27 febbraio l’Italia è in stato di preallerta, come da piano di emergenza. Nei prossimi giorni potrebbe salire il livello di crisi, passando al secondo stadio di allarme. Siamo al punto in cui sarà necessario ridurre i consumi. E le prime a cominciare dovranno essere le pubbliche amministrazioni. In una delle riunioni il ministro Cingolani ha spiegato che dovrà – se la situazione lo richiederà – essere ridotto tutto ciò che non è necessario: illuminazione dei palazzi pubblici, a partire dai monumenti minori e dagli edifici non essenziali. Riduzione del riscaldamento. I sindaci si stanno già muovendo in questo senso: chi può abbasserà già nelle prossime ore la tensione della pubblica illuminazione. Le strade saranno invece illuminate, così come i luoghi in cui esiste una esigenza di sicurezza. Stesso discorso per il riscaldamento: abbassare di un grado e, soprattutto al Sud, ridurre le ore di accensione. Su questo c’è più tempo: le scorte reggono almeno fino a maggio, si va verso l’estate, ma ci si prepara alla situazione peggiore qualora Putin già la prossima settimana interrompesse le forniture. In ogni caso, come ha spiegato ieri il premier Mario Draghi alla Camera, per ridurre la dipendenza dal gas russo si punterà sulle rinnovabili. Senza escludere il nucleare “pulito” e ha ricordato in proposito il prototipo europeo di reattore a fusione in programma nel 2028. Tutto comunque sarà deciso d’intesa con l’Europa.

La sicurezza

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