Putin sta perdendo, paura armi chimiche
Stefano Stefanini
L’incontro di Antalya dei Ministri degli Esteri russo e ucraino era destinato a un nulla di fatto. L’ucraino Dmytro Kuleba negoziava la pace, a costo di dolorose concessioni territoriali. Il suo Presidente le aveva ventilate. Il russo Sergei Lavrov chiedeva la resa. Il suo Presidente non gli consente altro. Non c’era punto d’incontro. Vladimir Putin sta perdendo la sua guerra. Non ha alcuna intenzione di accettare la disfatta. Ha cacciato se stesso e il suo Paese in un vicolo cieco. Il rischio è che per uscirne alzi ancora la posta. L’invasione dell’Ucraina aveva due obiettivi strategici: un governo fantoccio filo-russo a Kiev; una zona d’influenza russa fino ai confini della Nato, sull’intero spazio ex-sovietico (dopo si vedrà….). L’offensiva militare non ha conseguito il primo; il secondo si è allontanato. La guerra ha invece provocato un disastro umanitario e un esodo di rifugiati che garantiscono a Mosca la profonda ostilità ucraina per anni a venire. Il costo economico elevato per la Russia non farà che aumentare man mano che matura l’impatto delle sanzioni. Sul piano politico ed economico la guerra di Putin è già persa.
Su quello militare? L’invasione russa ha guadagnato territorio, quasi il 20% dell’Ucraina, ma non ha avuto la meglio sulla resistenza delle forze ucraine. I russi faticano a impadronirsi delle città sotto assedio. Ricorrono alla potenza di fuoco. Per entrare dovrebbero affrontare una guerriglia urbana che temono – la sanno letale dalle loro stesse eroiche memorie di Stalingrado e Leningrado dove fermarono il Terzo Reich. Gli ucraini sono allo stremo ma col morale alto; i russi, molti di leva, sono spesso spaesati e alle prese con la logistica, vecchio tallone d’Achille. Le artiglierie hanno munizioni ma il carburante scarseggia.
Per vincere Vladimir Putin ha tre opzioni. La prima è di riversare nella guerra ancor più risorse militari fino a schiacciare l’Ucraina sotto il peso della macchina da guerra russa. E, se le armi convenzionali non bastassero? Prima il Cremlino ha evocato lo spettro dell’atomica, adesso la propaganda russa – echeggiata a Lavrov – favoleggia inesistenti laboratori batteriologici del Pentagono in Ucraina. Intimidazione? Il solo menzionare armi di distruzione di massa è irresponsabile. Da un regime che, in tempo di pace, ha rischiato di avvelenare col novichok la popolazione di Salisbury ed ha acconsentito all’uso di armi chimiche in Siria c’è da temere il peggio. La seconda è l’allargamento del conflitto. Impantanato in Ucraina, crivellato dalle sanzioni, Putin sente erodersi la fragile popolarità della guerra. Il mito dell’Ucraina che minacciava la sicurezza della Russia con un’ipotetica candidatura alla Nato è merce rapidamente deperibile quando le famiglie russe cominciano a contare i caduti. Se la Nato scende in campo il Presidente russo può contare su un’impennata nazionale che faccia quadrato intorno al Cremlino. Uno scenario di terza guerra mondiale chiama in causa la Cina. In un confronto militare con la Nato la Russia non può vincere ma può sempre pareggiare grazie al ricatto nucleare. Saggiamente, Usa, Nato e Ue non abboccano all’amo.
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