Fondi per la difesa. Un segnale politico
di Stefano Folli
Di solito gli ordini del giorno parlamentari non fanno la storia, ma in questo caso potrebbe essere diverso. Come è noto, una vastissima maggioranza – quasi l’unanimità – della Camera ha votato a favore dell’aumento (tendenziale) delle spese militari fino al 2 per cento. È una raccomandazione al governo che raccoglie l’indirizzo già espresso nei giorni scorsi da Draghi. E il suo valore simbolico è evidente, per almeno tre ragioni.
La prima è che il Parlamento conferma di voler essere unito sui temi della politica estera e della difesa. Era già accaduto di recente ed è stato ribadito dal voto di martedì. In troppe occasioni Camera e Senato hanno subito critiche, spesso ben motivate, per non essere all’altezza dei loro compiti istituzionali. Ora invece, con la guerra che investe l’Europa e rischia di lambire i nostri confini nazionali, hanno saputo mettere da parte le dispute minori, o quel che è peggio la pigra indifferenza, e hanno dato un segnale chiaro. L’aumento delle spese militari è da tempo un obiettivo dell’alleanza occidentale e il conflitto in Ucraina sembra aver incrinato le vecchie resistenze: non solo italiane. Ha fatto clamore la decisione senza precedenti di Berlino, ovviamente ancorata alla Nato, e così dovrebbe essere anche per la scelta italiana, tutt’altro che scontata.
In secondo luogo si dimostra che l’unità nazionale a Roma ha fatto, se così si può dire, un salto di qualità. Era stata raggiunta a fatica nei mesi della pandemia e soprattutto quando si è trattato di mostrarsi abbastanza credibili per ricevere i miliardi stanziati con il piano europeo. Tuttavia è sempre stata un’esperienza contraddittoria, i cui limiti erano innegabili. E non poteva essere altrimenti. Ora sulla politica della difesa il paese si riscatta e anche la classe dirigente, di maggioranza come di opposizione, riesce a mostrare senso di responsabilità, come è accaduto, non di frequente, in altri momenti cruciali della vita repubblicana.
Terzo punto da sottolineare. Il 2 per cento di spese per l’apparato militare, sia pure come obiettivo a medio termine, cambia la percezione esterna non solo della Nato, ma della stessa Unione Europea. Con la sua invasione temeraria, Putin ha così ottenuto un’Europa più coesa, forse come mai in passato. Un’Europa che forse per la prima volta affronta il tema della difesa comune, in ogni caso collegata al sistema di sicurezza occidentale, ossia agli Stati Uniti. Per Mosca è una disfatta politica. Peraltro siamo solo ai primi passi di un lungo percorso, dal momento che una difesa coordinata presuppone una politica estera condivisa e dunque anche degli interessi nazionali non più in conflitto, come ancora avviene. È una strada lunga, ma l’Italia ha compiuto il primo passo con un certo coraggio.
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