Il ritorno del telefono rosso

di Marco Minniti

La telefonata tra Jake Sullivan e Nikolai Patrushev è una telefonata importante. Molto importante. È la prima comunicazione diretta di cui siamo venuti a conoscenza tra USA e Russia dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Ed è un contatto autorevole. Molto autorevole. Immediatamente
un gradino sotto i due Presidenti: Biden e Putin. Sullivan, consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti. L’uomo che per incarico del Presidente ha di fatto preso in mano la parte più diretta della pressione diplomatica e negoziale che gli Usa stanno facendo in questi giorni. Nei giorni scorsi a Roma ha incontrato Yang Jiechi importante membro del politbureau del partito comunista cinese. Una sorta di “commissario politico” per le relazioni internazionali. Ed oggi telefonando a Patrushev, uomo chiave del Cremlino. L’unico in grado di poter porre questioni delicate al suo “capo” senza essere costretto a giri di parole o ad abbassare lo sguardo nel caso di una brusca risposta negativa. Grosso modo coetaneo di Putin, un anno più grande. Entrambi nati nell’allora Leningrado, oggi San Pietroburgo. Entrambi arruolati a metà anni 70 nel KGB. Esperienza decisiva per la loro formazione ed alla base, quasi in continuità, dei loro successivi successi politici e professionali. Oggi Nikolai, il generale Patrushev, come viene solitamente appellato (Putin si è fermato al grado di Tenente Colonnello) è il Segretario del Consiglio di Sicurezza russo.

L’espressione più vera e profonda del “Deep State” della grande madre Russia di Putin. Con cui ha condiviso e condivide l’inedito coacervo di nazionalismo ed imperialismo che sta alla base delle ultime drammatiche decisioni. In queste settimane, molto si è scritto sulle sue presunte divaricazioni con Putin riguardo all’invasione dell’Ucraina. Non sappiamo né, forse, sapremo mai, se queste divergenze ci siano state davvero. Quello che, tuttavia, sappiamo è che Patrushev è stato, in questi anni l’uomo delle relazioni “coperte” con le grandi democrazie occidentali. A partire dagli Stati Uniti.

La telefonata di oggi potrebbe essere rivelatrice di una nuova fase, particolarmente delicata della trattativa tra Russia ed Ucraina. Senza esagerare in ottimismo potremmo dire che è il segno che essa è incominciata davvero. Non è un caso che la telefonata sia stata resa nota dopo la calorosa e straordinariamente coinvolgente accoglienza che il Congresso aveva tributato al discorso, forte ed emozionante, di Zelensky. Non è un caso, che per tutta la giornata anche da parte russa, si era sottolineata una nuova possibilità negoziale. La conversazione, le parole scelte nel comunicato che ne dava notizia, di fatto gettano nella discussione il peso diretto degli Stati Uniti. Una trattativa, non dimentichiamolo mai, resa possibile dalla straordinaria “resistenza di popolo” dell’Ucraina al prezzo di durissime ed indicibili sofferenze. Le parole di “addio”, pronunciate da Zelensky, alla prospettiva di un ingresso nella Nato hanno reso più concreta la possibilità di mettere al centro del tavolo negoziale la questione della “neutralità”. Una parola chiave che, tuttavia non può e non potrà mai essere slegata da altre 3: Indipendenza, Autodeterminazione e Sicurezza. Questo il senso più profondo del messaggio di Sullivan. Del tutto in sintonia con le preoccupazioni che gli ucraini hanno manifestato in queste ore. Non ci sono “esperienze” da ripetere.

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