L’equilibrismo di Dheli tra il petrolio russo e le relazioni militari con Washington

di Carlo Pizzati

CHENNAI – Gli equilibrismi dell’India nei confronti della guerra di Putin contro l’Ucraina stanno dando i loro frutti. Da un lato c’è il vice primo ministro russo, Alexander Novak, che offre al ministro del petrolio indiano Hardeep Puri il greggio sanzionato in Europa. Un affare che le compagnie pubbliche indiane non si sono lasciate sfuggire: hanno infatti prenotato 5 milioni di barili di petrolio a un prezzo imbattibile di circa 25 dollari l’uno. Dall’altro, l’ammiraglio John Aquilino, Comandante delle forze americane nell’Indo-Pacifico, promette che il sostegno militare all’India nelle schermaglie sull’Himalaya continuerà: “Le nostre relazioni militari sono al punto più alto nella storia”, ha dichiarato al Congresso.

Per ora, Delhi esce indenne dai suoi funambolismi geopolitici. Il premier Narendra Modi ha telefonato sia a Vladimir Putin che a Volodymyr Zelensky. Si è astenuta dal condannare l’invasione russa presso il Consiglio di Sicurezza Onu, ma ha promesso aiuti umanitari per l’Ucraina. Non ha criticato l’invasione, ma ha chiesto un’ambigua “cessazione delle violenze”. Cercando di far contente Russia e Stati Uniti, si è ritrovata ad astenersi all’Onu in compagnia di due nemici storici, la Cina e il Pakistan. “L’India sottolinea che l’azione umanitaria deve essere guidata dai principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza e non deve essere politicizzata. Ripetiamo i nostri appelli per un’immediata cessazione delle ostilità”, ha ribadito giovedì il Rappresentante permanente all’Onu T. S. Tirumurti. Questa guerra sta già causando bradisismi nelle regioni eurasiatiche più lontane, smuovendo stratificazioni, stimolando possibilità di ricomposizioni strategiche creative. Il lavoro di pianificazione fatto da Putin è lampante. A dicembre ha rinsaldato la storica relazione indo-russa con un sostanzioso pacchetto di accordi di forniture militari e commerciali, condito da un impegno di cooperazione militare e tecnologica per dieci anni. Il tutto sugellato dalla produzione di mezzo milione di kalashnikov in India e dalla collaborazione di Mosca nella costruzione della più grande centrale nucleare indiana.

Ma gli Stati Uniti lanciano segnali chiari di non volersi lasciar sfilare via un avvicinamento con l’India che continua a crescere da dieci anni e che si è consolidato nella collaborazione del Quadrilatero, fronte di contenimento all’espansionismo cinese, assieme Giappone e Australia. Però l’India fa anche parte del movimento multilaterale dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e della Shanghai Organization Cooperation (Russia, India e Cina).

Che sia quindi l’occasione per un avvicinamento tra Pechino e Delhi? In Asia le cose sono più complicate. Non è detto che le tensioni sul confine himalayano, dove gli scontri all’arma bianca nel giugno 2020 hanno causato 20 morti indiani e 38 cinesi, si possano allentare. Quando alle Olimpiadi di Pechino la Cina ha fatto sfilare come tedoforo un veterano della battaglia della valle di Galwan del 2020, l’India ha subito annunciato il boicottaggio ai Giochi. Ma il ministro degli esteri cinese Wang Yi sta facendo delle aperture: “Pechino e Delhi dovrebbero essere partner nell’interesse di un successo reciproco, non avversari. La sfida ai confini non deve disturbare la cooperazione bilaterale”.

Il timore che l’India possa essere risucchiata nel piano sino-russo delineato dal documento per la “ridistribuzione del potere” nel mondo, sugellato ai margini delle Olimpiadi il 4 febbraio scorso da Mosca e Pechino, spinge l’amministrazione Biden ad essere molto paziente con Delhi. C’è una chiara alleanza antioccidentale per una “nuova era del multipolarismo” che reclama democrazia nei rapporti internazionali (contro l’egemonia americana), ma vuole meno vera democrazia all’interno dei confini nazionali (cioè ognuno applica la sua interpretazione di cosa vuol dire democrazia, ovvero autocrazia a malapena camuffata).

Eppure, il portavoce del dipartimento di Stato Ned Price ha reagito così alla “neutralità” indiana: “Condividiamo interessi e valori importanti con l’India. Sappiamo che ha una relazione con la Russia diversa dalla nostra. E, ovviamente, ci sta bene”. Washington non può rischiare di lasciar andare l’India verso la deriva del multipolarismo eurasiatico in salsa autocratica. E chiude un occhio. Gli ultimi affari con il petrolio russo glielo faranno riaprire? La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki ha dichiarato che la transazione “non viola le sanzioni americane”, ma Washington ha avvertito che “la storia si ricorderà quale parte l’India avrà scelto di sostenere in questa guerra e rimarrà iscritto negli annali”.

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