Tre grandi imperi trattino la pace

Ora c’è la guerra e la guerra comporta la più tremenda delle decisioni. La neutralità è impossibile, prima ancora che moralmente riprovevole. Ma la decisione, proprio perché tale, implica il massimo di razionalità, non di sentimenti e passioni. E la ragione dovrebbe suggerire la distinzione più precisa tra la politica dell’attuale classe dirigente russa e il destino politico della Russia e del suo popolo. La Russia non è finita con gli zar, né con l’URSS e non finirà con Putin. Essa durerà e durerà con la forza della sua storia, dei suoi interessi e del suo ruolo geopolitico. Non ci sarà mai pace se questi non saranno apertamente e definitivamente riconosciuti. O si ritiene ormai che Putin e Russia si identifichino e che questa aggressione all’Ucraina sia espressione di ciò che la Russia è o è irreversibilmente diventata? Così senza dubbio era avvenuto per la Germania del ’39: nessun dubbio che l’aggressione era l’espressione di una classe dirigente compatta che godeva di un appoggio pressochè totale. Si ritiene realistico il parallelo? Lo si dichiari e si tirino le inevitabili conseguenze, che necessariamente dovranno andare ben oltre sanzioni e aiuti e fornitura di armi agli ucraini. Non ci può essere in questo caso che richiesta secca di ritiro da parte dell’aggressore e, se respinta, lotta contro di lui fino alla sua sconfitta sul campo. Una guerra finisce in due modi, o trattando, poiché si ritiene che non sussistano contrapposizioni inconciliabili, o fino alla resa di uno dei contendenti. Si ritiene che questa resa sia ottenibile anche attraverso la lotta che gli ucraini stanno ingaggiando, con una energia che l’aggressore certo non si attendeva? Può essere anche un calcolo, come quello che il protrarsi della guerra finirà con l’indebolire Putin fino a farlo defenestrare – ma sono tutti calcoli che scontano ancora giorni e giorni di devastazioni e atroci sofferenze per gli ucraini, non per noi (per quanto male ci facciano le sanzioni) e meno ancora per gli americani. Mentre ogni giorno di più, ovviamente, cresce il pericolo del big bang, della catastrofe globale.

Dunque, al di là di ogni propaganda, è necessario trattare, giungere al cessate il fuoco e aprire un tavolo politico-diplomatico al massimo livello. Poiché la crisi è globale, infinitamente più di quelle medio-orientali, dell’Afghanistan, dello stesso Vietnam, intorno al tavolo, per giungere a un risultato concreto e duraturo, dovranno esserci Usa, Russia e Cina, e cioè, piaccia o meno, gli Imperi attuali. L’accordo passa attraverso la mediazione tra loro, tutti lo sanno, non verrà mai sancito tra Russia e Ucraina da sole, se non scrivendolo sulla sabbia. E anche le sue linee generali non possono realisticamente che essere le seguenti: riconoscimento pieno della sovranità ucraina e ritiro dell’esercito di invasione, parallelamente a un progressivo ritiro delle sanzioni e al riconoscimento delle repubbliche autonome di Crimea e del Donbass. Nessuna condizione può essere posta invece sulla politica di sicurezza che l’Ucraina vorrà decidere per sé. Uno Stato sovrano può chiedere di far parte delle alleanze che vuole, e questo sarà motivo di trattativa soltanto tra esso e gli altri Stati o gli altri organismi con cui vorrà stringere rapporti, di qualsiasi natura questi siano. Saranno Russia e Stati Uniti a definire, per loro conto e su altro tavolo, le proprie relazioni in merito a politiche militari e di sicurezza riguardanti in particolare la Nato e la sua azione. Tavolo al quale l’Ucraina non c’entra, come non c’entra la Russia a quello delle relazioni tra Ucraina e Unione europea. Questa è la linea per una pace che risulti dall’arte politico-diplomatica; l’altra sarà il risultato dell’arte della guerra. Si decida chi può – e cerchi di farlo al più presto e non sulla pelle degli altri.

LA STAMPA

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