Dall’Algeria alla Libia, più gas in arrivo per l’Italia (per azzerare la dipendenza da Mosca)

Le navi rigassificatrici

Un terzo dell’ammontare delle forniture di gas che arrivano da Mosca, attraverso il punto di approdo di Tarvisio in Friuli, sarebbe coperto da due terminal galleggianti per una capacità di rigassificazione ognuna di 5 miliardi di metri cubi all’anno: dunque 10 miliardi. Le due navi sono oggetto di trattativa da parte di Snam. Una delle due, in acquisto, sarebbe arrivata alla fase dell’«esclusiva». I dettagli sono ancora top secret. Quel che si apprende è che verrebbe installata a Piombino dove due giorni fa ci sono stati alcuni incontri con le istituzioni locali. L’altra sarebbe invece in affitto, anche se i canoni di leasing sono diventati proibitivi perché ci sono pochissime navi metaniere di questo tipo nel mondo. Ci sono interlocuzioni in corso con alcuni operatori. Il costo del canone, spiegano fonti, si attesterebbe tra i 130 e i 150mila euro al giorno, dunque più di 50 milioni all’anno. Queste unità galleggianti vengono alimentate da navi metaniere che portano gas naturale liquido comprato da diversi fornitori con cui il governo ha stretto degli accordi in queste ultime settimane.

Il metano liquido

Oltre agli Stati Uniti, che si sono impegnati ad aumentare le forniture di gnl verso l’Europa, in prima fila c’è l’Eni che già produce gas naturale liquido e che dunque indirizzerà questi flussi verso l’Europa. Egitto e Qatar contribuiranno per circa 3 miliardi di metri cubi nel 2022 e circa cinque nel 2023. Per il 2023-2024 il Cane a sei zampe potrà avere gas naturale liquido addizionale da un progetto in Congo per circa 5 miliardi di metri cubi all’anno. Ma è soprattutto con il governo di Doha che si è raggiunta un’intesa per spingere i volumi anche in previsione di una mega-hub in costruzione. Il governo qatarino già alimenta l’80% delle forniture del terminal galleggiante di Rovigo, l’Adriatic Lng, nel cui capitale c’è l’americana ExxonMobile. Quei contratti di fornitura però sono stati negoziati dalla Edison e hanno durate prestabilite. Recentemente il ministero della Transizione ha autorizzato un lieve ampliamento della capacità di rigassificazione di quel terminal. Gli altri due sono l’Olt di Livorno e quello di Panigaglia in Liguria. Il governo conta di recuperare un altro miliardo di metri cubi «stressando» la loro capacità. Altri 2-3 miliardi di metri cubi arriverebbero invece dall’autoproduzione nazionale che al momento è irrilevante, visto che il gas italiano copre il 5% del nostro fabbisogno.

Il nodo termoelettrico

La domanda in corso è però schizzata in alto anche per le richieste del termoelettrico. Uno delle modalità di consumo del gas è quella di alimentare l’operatività delle centrali termoelettriche per la produzione di elettricità. Le nostre sono principalmente alimentate a gas, meno col carbone vista l’impronta inquinante, e in misure crescente con le rinnovabili che però avrebbero bisogno di sistemi di accumulo in grado di stoccare l’energia prodotta da eolico e fotovoltaico quando non serve. Il 15% del nostro fabbisogno viene coperto dall’energia nucleare prodotta in Francia che però quest’anno è stata molto più intermittente per i rischi di guasti. Anche l’idroelettrico non ha raggiunto i volumi degli anni scorsi perché ha piovuto poco alimentando meno le dighe. Così è necessario lavorare sugli stoccaggi, oltre alle riserve strategiche che ammontano a 4,6 miliardi di metri cubi. Ma qui non è solo un problema di fornitori, ma anche di prezzi. Generalmente la variabilità stagionale nei consumi corrisponde, in tempi normali, a una variabilità dei prezzi. La crescita repentina dei prezzi del gas invece ha preso gli operatori in contropiede, determinando minori acquisti rispetto al solito. Questo potrebbe ridurre anche le nostre riserve.

CORRIERE.IT

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