Il nuovo partito degli italiani preoccupati

di Beppe Severgnini

C’è chi comincia a pensare che potrebbe essere meglio darla vinta a Putin. Ma sarebbe un grave errore

Sta salendo rapidamente il numero degli italiani convinti che il rischio sia diventato troppo grande: meglio finirla qui, lasciamo che Putin si dichiari vincitore, e aiutiamo a ricostruire quel che resta dell’Ucraina.

  Non ho letto sondaggi, ma non sto tirando a indovinare. È olfatto professionale, allenato nel tempo e alimentato da conversazioni, letture, mezze frasi, messaggi complicati, silenzi imbarazzati. Il nuovo partito degli italiani preoccupati è trasversale. Gli aderenti sono diversi dai rigurgiti della sinistra comunista e dai virgulti della destra autoritaria, oggi ideologicamente alleati. Costoro tendono a equiparare aggressore e aggredito, dividono le colpe fra la Russia di Putin e la Nato, detestano l’America e diffidano dell’Unione Europea. Ma costituiscono una minoranza (rumorosa), condannata a restare tale: la drammatica evidenza ucraina è più forte di certe sciocchezze nostrane.

  Il nuovo partito degli italiani preoccupati è più vasto, più forte e più ragionevole. Sa benissimo che questa guerra turpe è stata voluta da un regime. Ma si domanda, davanti alle difficoltà dell’avanzata russa: se Vladimir Putin non ottenesse ciò che vuole, come reagirà? Forse è meglio concedergli una vittoria parziale, e sperare che si acquieti. I nuovi italiani preoccupati sanno cosa significa questo per una parte dell’Ucraina e i suoi abitanti: ma preferiscono non pensarci.

  La preoccupazione è un sentimento sofisticato. Sa come conquistarci, mescolando timori diversi: tagli alle forniture di gas, crisi economica, ondate di profughi. Ma, più di tutto, il terrore di una guerra nucleare: mai avrei immaginato di annusarlo, per la prima volta in vita mia, nei giorni in cui diventavo nonno. La bomba atomica è una sorta di non-detto che accompagna ogni sospiro, si nasconde dietro ogni conversazione, condiziona ogni ragionamento: in Italia, in Europa e in America. Ma noi siamo più vicini alle zone del conflitto, e meno abituati di altri a soffrire per un principio. Siamo gente realista, al limite del cinismo, e nel realismo cerchiamo una soluzione.

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