Ursula von der Leyen a Kiev per rassicurare Zelensky e sfidare Putin: “Dobbiamo dare un segnale”

La presenza a Kiev aveva quindi l’obiettivo di coprire anche quella difficoltà o di non identificarla con un’amicizia troppo blanda verso Kiev. Anche per quanto riguarda la richiesta di adesione all’Ue formalizzata dal governo Zelensky. Il secondo elemento è la Francia. O meglio: le elezioni francesi. Emmanuel Macron si sta giocando proprio in questi giorni una parte rilevante della sua scommessa. I sondaggi non sono rassicuranti. L’ipotesi di un testa a testa con Marine Le Pen non è più remota. E poiché il presidente francese ha puntato molte delle sue carte sull’Europa, il rischio di trasmettere agli elettori francesi un messaggio contraddittorio doveva essere evitato anche in questo modo. Del resto, se l’Eliseo ha costruito in parte la sua campagna sull’europeismo, per Bruxelles perdere la sponda francese e ritrovarsi con unìinterlocutrice sovranista equivale quasi a far crollare in un istante il castello comunitario. Un “Orbán” a Parigi potrebbe determinare la fine del progetto europeo.


Il terzo elemento è la presidente del Parlamento, Roberta Metsola. Questa stessa missione lei l’ha compiuta una settimana fa. E la domanda che è iniziata circolare in tutti gli uffici più autorevoli di Bruxelles è stata: “A Kiev doveva andare lei o la presidente della Commissione? Metsola oppure il presidente del consiglio europeo Charles Michel? Chi rappresenta davvero l’Ue?”. Interrogativi che certo non sono stati graditi a Palazzo Berlaymont. E che hanno imposto una risposta in tempi brevi. Perché i “simboli”, appunto, in questa guerra contano. Più di quanto si immagini.

REP.IT

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