I diritti umani per sfidare le autocrazie
La Russia di Vladimir Putin è forse la nazione che più ha tratto
vantaggio dalla miopia delle democrazie sui diritti: il leader del
Cremlino ha usato la violenza più feroce in Cecenia; ha aggredito con le
armi Georgia, Crimea e Donbass; ha avvelenato oppositori e dissidenti
in patria e all’estero; ha gettato in prigione i rivali politici; ha
varato leggi contro i diritti Lgbt; ha inviato legioni di mercenari a
fare guerre contro civili in Siria, Libia e Sahel; ed ha consentito a
bande di pirati cybernetici di operare liberamente sul web. Il tutto nel
continuo, assordante, silenzio di leader americani ed europei che
affascinati dalla possibilità di “reset con Mosca” hanno continuato ad
offrire concessioni politiche ed accordi economici. Fino agli ultimi
giorni precedenti l’invasione dell’Ucraina, quando Joe Biden ed Emmanuel
Macron chiamarono Putin per proporgli un negoziato sulla “nuova
architettura di sicurezza europea” che lui aveva oramai deciso di
perseguire con la forza militare. È stata dunque la ritirata delle
democrazie sui diritti umani a far percepire a Putin che erano oramai
talmente flaccide da poter essere umiliate su un campo di battaglia
europeo.
Ma la resistenza degli ucraini è stato l’imprevisto che ha rovesciato gli esiti dell’invasione russa ed i crimini di guerra commessi dalle truppe di Putin hanno riproposto, in maniera lampante e indiscutibile, la necessità per le democrazie di riprendere la battaglia di Eleanor Roosevelt e riportare la difesa delle libertà individuali al centro degli interessi nazionali e della propria visione del mondo. Perché in ultima istanza ciò che distingue le democrazie dai despoti di ogni colore e stagione è il rispetto degli individui. Tornare su questo terreno oggi può essere decisivo, come lo fu dopo gli accordi di Helsinki, per gettare un ponte verso tutti quei cittadini russi che amano i propri diritti e desiderano vivere in un Paese capace di rispettarli.
REP.IT
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