Il voto a Parigi che preoccupa l’Europa

di Aldo Cazzullo

Emmanuel Macron è in testa e sarà molto probabilmente rieletto. Ma chi si era illuso che, con il richiamo all’ordine segnato prima dalla pandemia e poi dalla guerra, la belva sovranista si fosse ammansita, si sbagliava. Anzi, essa ruggisce più che mai.
E ruggisce anche nella capitale dei Lumi, della ragione, dei diritti universali dell’uomo, della fraternità planetaria.

La belva ovviamente non è una donna; è un pensiero anzi un istinto, è una protesta anzi una rivolta. Il clamoroso 24 per cento che Marine Le Pen ha raccolto ieri al primo turno delle presidenziali vale più del 60% del suo amico Viktor Orbán. E non solo perché ai consensi di Marine vanno aggiunti quelli dell’estrema destra di Éric Zemmour e della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, che uniti alle frattaglie trotzkiste e vandeane portano l’elettorato antisistema oltre la soglia fatidica del 50 per cento. Sono voti che non si sommeranno al ballottaggio. Ma sono comunque un segno di ribellione.

Orbán è al potere in Ungheria da dodici anni. Ha asservito o silenziato la stampa libera. In Francia non c’è un giornale, non c’è una rete tv che sostenga Marine Le Pen. Certo, la figlia non è demonizzata come il padre. Però resta un outsider. L’establishment francese, con la parziale eccezione di Vincent Bolloré, non la vuole. Il punto è che molti francesi non vogliono più saperne dell’establishment e del suo candidato, Emmanuel Macron.

Il presidente è andato meglio rispetto ai sondaggi dell’ultimo giorno. Se tra due settimane dovesse cadere, sarebbe una sorpresa assoluta. Marine Le Pen pone questioni giuste; cui però dà risposte sbagliate. Il suo progetto di smantellamento dell’Unione Europea indebolirebbe ulteriormente il piccolo risparmiatore, lo esporrebbe alle tempeste finanziarie, finirebbe con il far crescere ancora quei prezzi che lei promette di abbassare. Anche una parte di coloro che non amano Macron lo considera comunque più affidabile della Le Pen. Eppure il risultato francese non si spiega solo con le esitazioni del presidente, che ha iniziato la campagna elettorale troppo tardi e l’ha impostata su una riforma delle pensioni inevitabile ma impopolare.

All’evidenza, la guerra in Ucraina non indebolisce i populisti putiniani. Marine Le Pen è un’amica di Putin, anche se ha dovuto mandare al macero i volantini che la ritraevano al Cremlino al suo fianco. È stata finanziata prima dai russi, poi dagli ungheresi. Se mai tra due settimane dovesse farcela, per Vladimir Putin sarebbe una vittoria: il fronte dell’Occidente sarebbe spaccato. Non solo Marine intende disfare l’Unione Europea; vuole Parigi fuori dal comando integrato della Nato, anzi dell’Otan come si dice qui. E pure il sinistro Mélenchon fino a ieri difendeva Putin e addossava all’Alleanza Atlantica la responsabilità della crisi ucraina. Questo non significa che la maggioranza dei francesi sia filorussa. Significa che le sue priorità sono altre. Prezzi, salari, potere d’acquisto: i punti su cui Le Pen e Mélenchon battono da mesi.

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