Il voto a Parigi che preoccupa l’Europa
Macron è stato un buon presidente. Ha ridotto la disoccupazione. Ha domato la pandemia inventando il Green Pass (anzi, pass sanitaire) e insistendo sui vaccini. Eppure ha dato l’impressione di parlare soprattutto alla Francia urbana, ricca, che dalla globalizzazione trae vantaggio, e pure dall’immigrazione. E di dimenticare — Marine dice disprezzare — la Francia profonda, delle periferie e delle campagne, che dalla globalizzazione e dall’immigrazione è sorvolata e impaurita. Non a caso Macron è forte nelle grandi città, da Lione a Tolosa, è fortissimo a Parigi, ed è debole in provincia. La saggezza popolare lo paragona ad Anquetil, l’elegante calcolatore che vinceva il Tour con le cronometro, mentre Marine è Poulidor, il simbolo della Francia arcaica e laboriosa, dalle mani callose e dalla fronte sudata (anche se la villa di famiglia, dono di un sostenitore, sorge nel verde della ricca banlieue di Saint-Cloud). Solo che l’amatissimo Poulidor arrivava sempre secondo: otto podi, mai un Tour, non un solo giorno in maglia gialla. Tra due settimane sapremo se Marine — come è molto probabile — è davvero l’eterna seconda, o si rivelerà la Mitterrand della destra, capace di entrare all’Eliseo dopo una vita di sconfitte.
Se davvero dovesse farcela, l’Unione Europea non sarebbe più la stessa, e il mondo neppure. Ma già questo suo buon risultato può ringalluzzire i sovranisti italiani, che con Marine hanno da sempre un buon rapporto. Non solo Giorgia Meloni, che è già all’opposizione, ma soprattutto Matteo Salvini: il leader populista che si converte all’europeismo, appoggia Draghi e rielegge Mattarella potrebbe sentire il richiamo della foresta. E pure i Cinque Stelle, passati — almeno nella versione Di Maio — dai Gilet gialli a Macron ed Enrico Letta, avvertono che il vento potrebbe girare di nuovo, e che sia a destra sia a sinistra i radicali prevalgono talora sui moderati. Ancora una volta, la campana di Notre Dame suona per tutti noi.
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