Il ministro Speranza: “Le forze democratiche unite fermeranno l’estrema destra”

Annalisa Cuzzocrea

Roberto Speranza è convinto che alla fine, in Francia, il fronte democratico sconfiggerà Marine Le Pen. Ma quel che sta accadendo oltralpe – secondo il ministro della Salute e segretario di Articolo uno – dice qualcosa anche dell’Italia: delle sue diseguaglianze, di quanto la crisi stia mordendo soprattutto le vite dei più fragili.

Teme che un’eventuale vittoria di Le Pen segni uno stop per lo spirito solidale europeo che abbiamo scoperto prima con il Covid, poi nei confronti dell’Ucraina?
«Sono sicuro che tutte le forze democratiche si uniranno per fermare l’estrema destra della Le Pen. Il risultato del primo turno ci dice però che c’è un’enorme questione sociale a cui l’Europa deve dare una risposta vera se non vogliamo vedere ancora crescere le pulsioni nazionaliste».

Ci siamo sentiti per due anni in guerra contro il Covid. Abbiamo creduto si potessero scavare trincee per difenderci dal virus. La guerra vera che si combatte nel cuore dell’Europa ha ridefinito il senso delle parole?
«Nella guerra al Covid c’era l’uomo contro il virus. E questo ha fatto sì che a prevalere sia stato un fortissimo senso di solidarietà. Tanto che ancora oggi c’è un forte impegno nei confronti dei Paesi più in difficoltà, ad esempio sui vaccini. La guerra invece è uomo contro uomo: dietro alla folle invasione di Putin e al suo disegno neoimperialista ci sono responsabilità e scelte individuali e politiche che non possiamo non vedere».

E c’è un mondo tutt’altro che solidale, diviso.
«L’occidente, l’Europa, sono stati uniti al di là di quelli che il presidente russo si aspettava. Ma se alziamo lo sguardo e vediamo quel che succede nel mondo la somma degli abitanti dei Paesi che si stanno astenendo non è poca cosa: ci sono la Cina, l’India, Stati che rappresentano miliardi di persone».

Ha dubbi su da che parte bisogna stare?
«Nessuno. C’è un atto unilaterale della Russia che è andata contro ogni regola, contro tutte le norme basilari del diritto internazionale, non possono esserci né zone grigie né dubbi su questo».

Neanche con la scelta di inviare armi affinché il popolo ucraino possa difendersi?
«Ho votato a favore come ha fatto la stragrande maggioranza del Parlamento. Se c’è un Paese invaso questo Paese ha diritto a difendersi, come prevede la Carta delle Nazioni Unite».

Siete stati contestati per questo, da sinistra. A partire dalla piazza di Roma della Cgil.
«Ho rispetto per chi ha convinzioni diverse, di natura religiosa o perché pensa che le armi non possano mai condurre alla pace. Sono idee che non vanno banalizzate o ridicolizzate. Nessuno di noi avrebbe voluto trovarsi davanti a questa scelta».

Crede che dall’altro lato ci sia altrettanto rispetto per chi pensa che aiutare l’Ucraina con ogni mezzo sia un dovere morale?
«Personalmente, l’ho sempre percepito. Ma il dibattito italiano non mi sta piacendo: vedo spesso scattare meccanismi di tifoseria che nulla hanno a che fare con una questione delicata come questa. Non è un passaggio che si chiude in un tweet o una battuta da talk show. Quello che però mi preoccupa di più, è che non si vede una via per la pace».

È difficile intravedere la pace in un Paese che la Russia sta riducendo in macerie.
«Ma mi pare che nessuno stia cercando realisticamente di creare le condizioni per arrivarci. Mi preoccupa la debolezza delle Nazioni Unite, che è in qualche modo statutaria perché l’Onu è bloccata dai suoi stessi meccanismi e dal potere di veto della Russia nel Consiglio di sicurezza».

Hanno fatto bene Roberta Metsola e Ursula von der Leyen ad andare a Kiev? A incontrare Zelensky?
«Che l’Europa sia dalla parte dell’Ucraina è fuori discussione. E questi gesti simbolici sono importanti, così come gli aiuti inviati. A tutto questo bisogna aggiungere un pezzo: creare le condizioni per un cessate il fuoco immediato e per una prospettiva di pace, che si apre quando si inizia a vedere un dopo sostenibile per tutti i soggetti in campo. Bisogna porsi il grande tema di un nuovo equilibrio tra Russia, Oriente ed Europa. Una nuova Helsinky, come nel 1975. L’Europa può e deve fare ancora di più e questo è lo spazio naturale dell’Italia, che nella sua storia è sempre stata capace di costruire ponti e soluzioni di pace».

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