Valerij Gerasimov e il viaggio in Ucraina: l’attacco «fallito» al generale e i rischi corsi dai russi

Se i movimenti sono stati registrati da fonti aperte, possiamo immaginare che fossero noti a quelle più riservate. Con le conseguenti supposizioni sulle brecce nella sicurezza, sul tracciamento dei Vip, sugli eccessivi rischi assunti. Ma Gerasimov — sempre che la narrazione corrisponda alla verità — «doveva» andare a Izjum: si trattava di una missione in prima linea dettata dalle circostanze, dalle esigenze attuali e dai difetti storici. Secondo indiscrezioni, il Cremlino ha affidato all’alto ufficiale un compito più «avanzato», con responsabilità diretta delle operazioni e non solo di direzione dalla sua scrivania moscovita: un presunto commissariamento del numero uno del settore sud, Alexandr Dvornikov.

Il viaggio di Gerasimov — è il giudizio degli osservatori — è la rappresentazione del lato negativo dell’Armata:dipende troppo dal vertice, non concede autonomia agli ufficiali intermedi e non ne ha di preparati per un conflitto dinamico, è debole nel comando-controllo, fatica a coordinare manovre di grande ampiezza, impedisce di correggere con prontezza errori che si palesano durante la battaglia. I servizi inglesi aggiungono valutazioni sulle condizioni della truppa, con i tre quarti del contingente che non sarebbero adeguati. A questo si aggiungono i numeri forniti dal Pentagono: nelle ultime 24 ore, gli Stati Uniti hanno inviato in Ucraina 14 aerei di aiuti militari a cui se ne aggiungono 23 inviati da altri 5 Paesi.

Analisi e aspetti noti, anche se rimescolati a una percentuale di propaganda: perché la minaccia per l’Ucraina resta intatta, come resta in mano al neo-zar una parte del Paese, mentre un’altra è sotto il fuoco dei cannoni.

CORRIERE.IT

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