Il pacifismo non è obsoleto: sulla guerra è giusto farsi domande
CONCITA DE GREGORIO
Non ci sarà spargimento di sangue nelle righe che seguono. Nessun pacifista riluttante sarà messo alla gogna come pacifista obsoleto, dunque amico del massacratore pazzo. Nessun sostenitore della resistenza Ucraina sarà indicato come servo della Nato dunque non servirà, questo articolo, ai compilatori di liste di indiani e cow boy da mettere in pagina con le foto come figurine Panini. Se avete voglia di menare o di anche solo di assistere con una birra in mano, da casa, allo spettacolo della lotta fra schiavi e leoni al Colosseo potete voltare pagina, non c’è massacro non c’è gusto, qui. C’è invece uno spazio del dubbio, della domanda sui perché e non sui come, spazio lasciato sgombro dal pensiero binario e pieno di gente comune, tuttavia, gente in buona fede animata da buoni propositi che all’improvviso si trova sola, disorientata, alla mercé di un dibattito pubblico osceno. Sì, osceno.
L’unica cosa che conta è fare ascolti. Inseguire la domanda di rissa, che eccita. Nelle tv eserciti di autori, giornalisti, direttori sono impegnati ogni giorno in un casting che preveda lo scontro: chi mettiamo contro chi? La donna baffuta, la spia, il mutilato contro il torturatore, il neonazista contro l’ebreo.
È inutile chiedere una tv di qualità se la qualità della tv si misura dal consenso di chi ha in mano il telecomando: quelli che il giorno dopo deprecano il monologo di Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo, sono gli stessi che l’hanno visto il giorno prima. Il successo di audience è la risposta alla domanda: bisognava farlo? Certo, non vedi? Guarda i numeri. Era quello che la gente voleva. Domanda numero due, allora: non si deve dare spazio al carnefice? Avremmo intervistato Hitler se ci fosse stato modo? Certo che bisogna, non siamo mica censori: questa è una democrazia, certo che bisogna mostrare. Ma anche contraddire. Anche mettere in dubbio le affermazioni di chi fa propaganda con le evidenze di chi fa cronaca.
Abbiamo decine di giornalisti in Ucraina, sono molto spesso free lance – anche questo va detto, per capire il sistema dei media – non c’è un editore che li mandi, si assicurano dalla morte a loro spese, sono pagati a rimborso. Molte sono giovani donne coraggiose. Il coraggio si chiama così quando costa, non quando conviene. Abbiamo testimonianza di donne violentate, di soldati russi che si accingono all’opera con il consenso delle mogli che raccomandano loro di mettere il preservativo, abbiamo video e audio di soldati che chiedono a casa amore cose vuoi che ti porti, dall’edificio dove abbiamo ammazzato tutti: un microonde o un computer per nostro figlio? Quindi, l’abc: certo che bisogna ascoltare cosa ha da dire Lavrov ma anche bisogna metterlo davanti alle immagini di una fossa comune, o di un civile superstite al massacro in una scuola, in un ospedale, in un condominio e domandargli ok, e questo? I numeri, i colori: l’abbecedario da capo.
C’è un aggredito e c’è un aggressore. A un certo punto Putin, probabilmente perché ha visto come sono andate le cose in Afghanistan, ha pensato: è il momento, vado. Pensava di fare presto, ha fatto tardi. Gli ucraini non sono corsi ad abbracciarlo come liberatore, al contrario. Molti, non tutti, resistono all’invasione. L’America li appoggia? È evidente. L’Europa pure. Perché hanno pietà degli ucraini o hanno in odio l’invasore? La seconda. Altri popoli sterminati di recente non sono stati altrettanto assistiti. Dunque è assolutamente legittima, e comprensibile, la domanda di chi chiede perché. In nome di cosa stiamo mandando le armi alla resistenza ucraina? Per vedere chi vince, per vincere anche noi per procura, o per aiutare la popolazione inerme massacrata e a un certo punto trattare? Ma trattare con chi? Si può trattare con Putin? Abbiamo ascoltato come sapienti gli storici Alessandro Barbero, Luciano Canfora, e lo sono. Possiamo ora arruolarli in questo o quell’esercito per una frase, un rigo appena, o vogliamo chiederci se fidarci una volta ancora di chi ha passato una vita intera a studiare qualcosa di cui noi che ci occupiamo d’altro (se lo facciamo, e quando) sappiamo assai poco, a volte niente? La domanda sul perché inviare le armi, è legittima. Il pacifismo non è obsoleto, come dice il cancelliere tedesco, è un sentimento sorgivo in chiunque sia cresciuto educato al rispetto dei diritti dei più deboli, quindi di tutti.
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