La guerra dei simboli

DOMENICO QUIRICO

Festa contro festa, simbolo contro simbolo, noi e loro ognuno con pifferi e bandiere ma le sue, contrapposte e nemiche, giù le mani per carità! Nessuna appropriazione indebita nessuna sgarbata mescolanza. La Storia divisa a metà con i margini ben ripiegati… come se fosse possibile, come se avesse un senso: io mi prendo la mia e non voglio nulla della tua, te la lascio anche se fino al 24 febbraio accidenti! quanto erano mischiate… ma basta d’ora in avanti tutto si divide… facciamo la guerra, a ognuno il Suo.

Ci siamo. Oggi è il famoso nove maggio quando secondo i soliti bene informati tutto deve finire e chissà perché! Il Cremlino dovrebbe annunciare la pace. La sua? La nostra? O invece sillaberà ancora più guerra? Pizie e sibille che si sfregavano le mani aspettando di rimettere l’orologio del ventunesimo secolo all’orario consueto e accomodante e prenotare le vacanze tacciono, prudenti. Aspettano. Il dieci maggio sarà uguale al nove purtroppo: con i forsennati trinceristi dell’Azovstal che aspettano di entrare nel wahalla ucraino degli eroi ma se qualcuno li tira fuori forse accetterebbero soluzioni meno apocalittiche… si aggiornano le cartine del Donbass… due spruzzi di isbe malconce prese di questo o da quello… villaggetti che sembrano nei racconti epici piazzeforti mostruose degne del genio ingegneristico di Vauban… l’artiglieria tira e annienta… indignazione! ma che guerra crudele e bizzarra è mai questa?… negoziati trattative cessate il fuoco: non si pronunci nemmeno la parola perché i guerrafondai accomodati negli stati maggiori ormai indicano la strada anche a Washington e alla Nato: stiamo vincendo la nostra guerra che forse non è neppur più quella dell’Ucraina prego non disturbare… l’Unione europea è saldissima granitica nel parlare come sempre di soldi da distribuire, di petrolio e di gas… se le guerre si vincessero firmando assegni avremmo già trionfato.

Eccoli qua i simboli: la sfilata della vittoria nella grande guerra patriottica da una parte, la festa dell’Europa anche lei, finalmente dice qualcuno, in elmetto e mimetica dall’altra. Se ci fosse stato bisogno di qualcos’altro per rassegnarsi alla constatazione tragica che la guerra sciagurata allarga ogni giorno di più in modo definitivo divisioni permanenti, insanabili ecco qua, oggi, le immagini esplicite, leggibili a chiunque. Perché ormai i segnali simbolici che ciascuno dei due campi, Russia e Occidente, elabora e invia non tengono più conto dell’avversario. Non servono neppur più a intimorire il nemico, sarebbe una perdita di tempo. Parlano soltanto a se stessi, al proprio campo: studiati per incitare rassodare tranquillizzare gli incerti e i meditabondi annunciare vittorie resistenze controffensive e comunanze infrangibili.

Ancor più del conflitto combattuto sul campo questa mischia di simboli è il segno, terribile, che la guerra e la sua droga ormai rendono tutti ciechi e crudeli. L’unico antidoto per salvarsi dall’uso indiscriminato della forza e dalla sua pericolosa arroganza sarebbe l’umiltà e in fondo la compassione. Ma ancora una volta il messaggio comincia a sfuggirci, anche in coloro che hanno dichiarato di essere scesi in campo soltanto per bloccare la prepotenza da parte di una fazione immorale.

I simboli servono a definirsi da soli e a far si che tutte le altre definizioni non contino. Con i simboli si rilasciamo delle dichiarazioni esplicite, lasciamo dei biglietti da vista. È terribile quando sono destinati soltanto alla nostra parte. Non si vuol più tornare indietro.

Sfila in questi simboli il terribile mondo nuovo: chi non è dentro il nostro mondo, Russia o Occidente, è fuori, chi non con noi è contro di noi, e il mondo perde così tutte le sfumature, esenta dall’etica della responsabilità che è prima di tutto individuale, così si imbocca da sempre la via al totalitarismo. Le simbologie di oggi servono a confermare quello che si è perfezionato con metodo in questi settanta giorni: dipingere un quadro del mondo in bianco e nero. Sospendere il pensiero e soprattutto il pensiero autocritico. Tutto si inchina davanti allo sforzo supremo. Siamo una cosa sola.

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