La guerra dei simboli
La sfilata sulla piazza rossa fino a ieri celebrava la vittoria contro un nemico comune, anche dell’Occidente democratico, negli anni quaranta del secolo scorso: il regime nazista. Faccio scorrere filmati delle edizioni degli anni in cui era già al potere Putin. Non a caso tutto veniva mescolato opportunamente, le nuove bandiere di taglio imperiale e zarista dei reggimenti con i vecchi stendardi bolscevichi, marcette nuove e marcette «d’antan». Putin mescolava Storie apparentemente antagoniste per giustificare la sua. Un piccolo spostamento simbolico e la parata diventa altro in questo tempo di operazioni speciali. Un modo per rassicurare i russi: niente paura, siamo davvero potenti, come settanta anni fa abbiamo di fronte un nemico smisurato, gli Stati Uniti e i loro quaranta alleati rastrellati in cinque continenti… ma la nostra forza è intatta. Anche stavolta schiacceremo gli aggressori che avanzano da Ovest e che saggiamente abbiano anticipato attaccando…
Così leggerà la sfilata la maggior parte dei russi. A Putin non importa nulla se per noi sarà solo un segno di tracotanza bellicista, o il sintomo di paura di esser sconfitto. Sa come noi che la maggior parte degli uomini è pronta ad accettare la guerra purché rientri in un sistema di idee che giustifichi le sofferenze in funzione di un bene superiore. Gli esseri umani in ogni tempo, dalla mischia nella pianura di Troia a oggi, non cercano solo la felicità ma anche un senso nella vita. E qualche volta, purtroppo, combattere è il modo più semplice ed efficace per trovarlo.
La logica, i fatti possono far ben poco per fermare questa separazione senza ritorno dei simboli. Il mito condiziona il modo stesso di percepire la realtà. È solo dopo l’implosione del mito, spesso improvvisa e fulminante come la sua comparsa, che si possono mettere in discussione le motivazioni e le bugie della propria parte. Ognuna usa la storia e le parole per esaltare se stessi e la causa sacrosanta, la si spaccia per Storia ma è mito. Putin racconta che l’Ucraina non esiste, è solo un frammento della Russia. Eppure l’Ucraina esiste come dimostra nella sua lotta quotidiana. Gli ucraini a loro volta hanno cancellato la festa della vittoria per non condividerla con i russi. E la sostituiscono con la festa dell’Europa. Anche loro usano i fatti come se fossero intercambiabili come le opinioni. Quelli che non fanno comodo vengono cancellati o negati. Per esempio che i loro nonni combatterono nell’esercito russo contro l’invasione tedesca e che una parte di loro, i nazionalisti, si schierò con gli invasori indossandone le uniformi e partecipando ai loro infami progetti sterminatori. Tutto è utile, anche le incoerenze storiche per rafforzare l’orgoglio di oggi e la prospettiva della vittoria. Mentre quello che ci distingue dall’aggressore è sempre il coraggio della sincerità.
LA STAMPA
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