Il culto dello stalinismo
Yulia Latynina
Nel corso degli ultimi 20 anni nella Russia di Putin è stato costruito un autentico culto del 9 maggio, il «giorno della vittoria». Non ha nulla a che vedere con la storia reale della Seconda guerra mondiale. Si tratta appunto di un culto, il cui postulato principale è: «Il popolo russo è Gesù Cristo, che si è sacrificato per l’umanità intera e ha liberato il mondo dall’incubo nazista. Il mondo ingrato – gli americani, i britannici, i polacchi, gli estoni, gli ucraini e altri – non lo riconosce e non si inchina al popolo russo, perciò vanno puniti». Questo culto non è rivolto al passato, ma al presente. Serve per giustificare qualunque atto orribile nei confronti del mondo che non riconosce e non apprezza il sacrificio del soldato russo.
Di fatto, è il culto del nuovo totalitarismo russo, la cui ideologia è estremamente semplice: i russi sono la nazione più buona, più disposta a sacrificarsi, la più umana. Chi non lo riconosce è un nazista. E i nazisti vanno sterminati, fino all’ultimo, senza pietà. Stalin aveva combattuto in Ucraina i nazisti e i seguaci di Bandera, come fa oggi Putin. Putin è il secondo Stalin. Possiamo replicare, come promette lo slogan della propaganda.
Questo culto è impossibile da combattere senza una revisione abbastanza radicale dei cliché propagandistici sopravvissuti in Occidente dai tempi in cui il «zio Giuseppe» era alleato degli Usa e della Gran Bretagna nella guerra contro Hitler, e i politici, i giornali e il cinema americani si facevano in quattro per presentare gli alleati in una luce migliore, dimenticando che nei primi due anni della Seconda guerra mondiale Stalin era un alleato di Hitler, e che la guerra era iniziata una settimana dopo la firma del patto Molotov-Ribbentrop. La storia vera della Seconda guerra mondiale è un’altra: Stalin stava progettando una guerra per sottomettere tutto il mondo, che si sarebbe conclusa soltanto quando l’ultima repubblica sovietica dell’Argentina fosse entrata nell’Urss. Aveva iniziato a progettarla molto prima dell’arrivo al potere di Hitler. In nome di questa guerra, l’intera Urss venne trasformata in una fabbrica di armi. Produceva soltanto armi: carri armati, oppure acciaio per carri, o energia elettrica necessaria a fondere l’acciaio per i carri. Quando iniziò la guerra, Stalin aveva più carri armati BT di tutti gli altri Paesi al mondo messi insieme.
Per pagare questi carri e fabbriche, Stalin costrinse i contadini a entrare nei kolkhoz collettivi, gli tolse i beni e fece morire di fame decine di milioni di persone. La riduzione dei contadini alla miseria ebbe un’altra importantissima conseguenza: umiliati, diseredati e privati di ogni diritto, divennero il ripieno dell’esercito staliniano. La Prima guerra mondiale era stata segnata da battaglie di posizione durate mesi, dovute alla impossibilità di superare le fortificazioni dell’avversario lungo la linea del fronte. Stalin arrivò a una conclusione molto semplice: le fortificazioni andavano distrutte a suon di corpi, e per farlo bisognava costruire un esercito in cui i soldati sarebbero stati una massa impotente, mandati a morire a migliaia, con una struttura di comando separata. I generali americani sbarcavano con le loro truppe. I generali giapponesi combattevano al loro fianco. Guderian e Rommel guidavano le battaglie. I generali sovietici no. Quando i nostri soldati si imbattono in un campo minato, vanno all’attacco come se le mine non ci fossero, spiegò il generale Zhukov a uno stupefatto Eisenhower. Questo trattamento dei soldati si accompagnava a una politica di terrore nei confronti della popolazione locale. La maggior parte del «movimento partigiano» nelle retrovie tedesche, soprattutto in Ucraina, era di fatto un terrorismo degli infiltrati staliniani, diretto non tanto contro i tedeschi quanto contro la popolazione locale.
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