Per liberare il grano bloccato Odessa spera nella Royal Navy

Monica Perosino

DALL’INVIATA A ODESSA. I locali affollati e pieni di risate, le ragazze a passeggio mano nella mano, i concerti nei cortili aperti, candele e luci soffuse. Odessa prima della guerra, Odessa durante la guerra, la vita nonostante tutto. Ieri il coprifuoco ha regalato alla vita un’ora in più, fino alle 23 si potrà uscire e provare a dimenticare che qui, a pochi metri dal centro della città, si sta combattendo una battaglia che va oltre la guerra e oltre le sofferenze degli ucraini, la guerra della fame.

Il porto più importante del Mar Nero è come congelato. Le navi cariche all’inverosimile sono ferme, cinquecento marinai aspettano senza poter far nulla. Le esportazioni di grano, mais, orzo sono bloccate. Il rischio è che, oltre il danno all’economia ucraina, si arrivi a una crisi alimentare globale che, naturalmente, si abbatterà soprattutto sui Paesi più poveri.

Protetto da ronde, check-point e barriere invalicabili anche agli sguardi, il porto di Odessa è una fortezza sorvegliata dai soldati. Qui, negli enormi silos affacciati sul Mar Nero aspettano almeno 25 tonnellate di grano che stanno iniziando a marcire. L’oro ucraino prigioniero di mine e navi. In qualche modo, al più presto, dovrà lasciare la fortezza per far posto al nuovo raccolto, che sarà pronto entro un mese, tre mesi al massimo. Per il prossimo raccolto sono previste altre 50 milioni di tonnellate di cereali, ma c’è spazio solo per ospitare il 50% di questa quantità. L’obiettivo di export di grano da raggiungere è un minimo di 3 milioni di tonnellate al mese.

Tonnellate di cereali sono già state caricate su 84 mercantili ormeggiati alle banchine, pronti a salpare, ma quelle bombe subacquee disseminate sulle rotte marittime hanno già colpito una decina di navi troppo ardite, una è stata invece centrata da un missile a marzo.

«Il governo russo sembra pensare che usando il cibo come arma possa ottenere il risultato che non ha raggiunto con la sua invasione», ha detto il segretario di Stato americano Antony Blinken in un discorso alle Nazioni Unite. «Le scorte di cibo per milioni di ucraini e di persone in tutto il mondo sono in ostaggio». L’export delle derrate avviene per il 95% via mare, da quando i porti sono distrutti – come quello di Mariupol –, sotto controllo russo come Berdiansk e Kherson, o bloccati dalle mine come quello di Odessa, gli ucraini sono alla disperata ricerca di rotte alternative: ieri il primo treno con un carico di grano è arrivato in Lituania attraverso la Polonia. A regime si tratta di fare uscire dal Paese 1.500 tonnellate di grano al giorno, una goccia nel mare. Anche le chiatte che, fino a pochi giorni fa, procedevano lente come grossi animali acquatici sul Danubio, hanno dovuto rallentare la frequenza di navigazione: alcune mine alla deriva sono arrivate alla foce. A oggi, i porti di Izmail e Reni sono rimasti gli unici scali operativi. Il trasporto su rotaia è un’impresa complessa, lenta e costosa, perché il sistema ferroviario ucraino opera su uno scartamento diverso rispetto ai vicini europei come la Polonia, quindi il grano deve essere trasferito su treni diversi al confine dove non ci sono molte strutture di trasferimento o stoccaggio.

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