Draghi fa sfogare i partiti. Ma Pnrr e atlantismo “punti non negoziabili”

Adalberto Signore

Il copione è lo stesso ormai da settimane, con Mario Draghi che sembra incastrato in una sorta di «giorno della marmotta», costretto ogni mattina ad occuparsi degli stessi problemi che sembrava aver risolto solo la sera prima. Non soltanto sul fronte interno con il ddl Concorrenza. Ma pure sul versante esterno, con M5s e Lega che continuano – seppure con sfumature diverse – ad essere molto critici verso la linea di condotta scelta dal governo sull’invasione russa dell’Ucraina. Come non è bastato il Consiglio dei ministri lampo della scorsa settimana a chiudere definitivamente la querelle sui balneari, dunque, così non è stato sufficiente presentarsi giovedì scorso alle Camere per un’informativa sul conflitto in corso tra Mosca e Kiev. D’altra parte, ne sono consapevoli anche ai piani alti di Palazzo Chigi, ormai siamo nel pieno della campagna elettorale e – il ragionamento è dello stesso Draghi – va messo in conto che alcuni partiti si continueranno a muovere seguendo logiche di propaganda elettorale. Facciano pure, purché poi – dal punto di vista fattuale – non ci siano incidenti. L’ex numero uno della Bce, infatti, considera alcuni punti «non negoziabili», perché «legati intrinsecamente alla ragion d’essere del governo». Uno di questi è il Pnrr, l’altro è la collocazione atlantica dell’Italia nel conflitto tra Russia e Ucraina. Insomma, su questi temi i partiti di maggioranza alzino pure la voce, ma niente scherzi. Altrimenti il premier è pronto a sbattere la porta.

In questo loop perenne nel quale alcuni partiti di maggioranza alzano le barricate su questo o quel provvedimento, va detto che ieri si sono registrati piccoli segnali di incoraggiamento sul ddl Concorrenza. Dopo settimane di pantano, infatti, la commissione Industria del Senato ha finalmente iniziato a votare sul testo. L’intesa sui balneari ancora non è chiusa, ma – come peraltro già accaduto la scorsa settimana dopo il faccia a faccia tra Matteo Salvini e il sottosegretario alla presidenza Roberto Garofoli (nel tondo) – sembra a portata di mano. Di certo, c’è che il testo sarà votato dall’aula di Palazzo Madama il 30 maggio, una decisione presa sempre ieri dalla conferenza dei capigruppo del Senato. Se con o senza la fiducia – giù autorizzata dal Consiglio dei ministri – si vedrà, anche se al momento è un’ipotesi che sembra sfumare.

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