L’America e le armi, cambiare non sarò facile

di Giuseppe Sarcina

Il 52% dell’opinione pubblica chiede «controlli più stretti», ma per molti altri vanno bene le poche norme esistenti[an error occurred while processing this directive]

Salvador Rolando Ramos, l’autore della strage dei bambini, aveva compiuto 18 anni il 18 maggio. La prima cosa che ha fatto da maggiorenne è stata entrare in un negozio e acquistare due fucili semi-automatici e una pistola. Niente di più facile in Texas e in molti Stati Usa. Basta presentare un documento di identità, compilare un modulo che nessuno verificherà e, naturalmente, pagare. Anche a rate, volendo. Una mitraglietta semi automatica Ar-15, come quella usata per falciare 19 scolari e due maestre della Robb Elementary School di Uvalde, costa circa 350 dollari. Come un telefonino. Nel Texas un giovane non può comprarsi una birra, se non ha almeno 21 anni. Ma per armi e munizioni non c’è problema. Anzi nei «migliori» negozi, di solito, c’è anche un poligono. Con 50 dollari si può noleggiare persino un kalashnikov ed esercitarsi seguendo i premurosi e competenti consigli dei commessi. È una realtà che abbiamo sperimentato direttamente in un grande emporio di Dallas.

Il Secondo emendamento della Costituzione, la norma che dal 1791 consente ai cittadini di «possedere e portare armi», fa parte della vita quotidiana, della cultura popolare di molti americani. Dalla Virginia alla Florida; dal Colorado alla California; dall’Indiana al Texas. Secondo un sondaggio dell’Istituto Gallup, il 42% degli interpellati custodisce una pistola o un fucile in casa.

È vero: la maggioranza dell’opinione pubblica, esattamente il 52%, sempre secondo lo stessa rilevazione, chiede «controlli più stretti». Ma per il 35% vanno bene le poche norme esistenti; mentre l’11% vorrebbe addirittura eliminare ogni vincolo. Da tutto ciò, forse, si può ricavare una prima conclusione. Le carneficine degli ultimi giorni, prima nel supermercato di Buffalo, poi nella scuola di Uvalde, sono la prova migliore di un fallimento politico e istituzionale, ma anche di quella che a noi europei appare come un’aberrazione sociale. E probabilmente i due fenomeni sono collegati. La National Rifle Association è una delle lobby più influenti degli Stati Uniti anche perché può contare sul sostegno di circa 5 milioni di soci. Senza questo consenso, il «partito delle armi» non avrebbe potuto costruire tutto il resto.

Attenzione, però, perché non è sempre stato così. Il rafforzamento delle strutture federali e il legittimo monopolio della forza affidato alla polizia avevano relegato nell’ombra l’idea dell’autodifesa, sancita dal Secondo emendamento. Il Paese lo riscoprì con l’assassinio di John Kennedy, quando si verificò che Lee Harvey Oswald aveva comprato per posta l’arma del delitto, un fucile militare di fabbricazione italiana.

Nel 1968 il Congresso vara il «Gun Act Control» che proibisce tra l’altro di acquistare armi per corrispondenza. La questione venne archiviata per almeno 15 anni. Ma nei primi anni Ottanta, con Ronald Reagan, si mise in moto una corrente in cui ci troviamo ancora oggi immersi. Il presidente guidò una specie di movimento di liberazione dalle regole, dai vincoli pubblici. Sul piano giuridico si fece strada la cosiddetta «scuola dell’originalismo». In sostanza una dottrina che predica il ritorno allo spirito dei «Padri fondatori», a interpretare alla lettera la Costituzione. Anche se uno di quei «padri», Thomas Jefferson, aveva avvisato che le norme fondamentali «andrebbero cambiate ogni 19 anni», perché la Costituzione «è per i vivi, non per i morti».

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