Tito Boeri: “Siamo il Paese delle diseguaglianze, aiutare i più deboli è un’urgenza”
PAOLO BARONI
I salari troppo bassi e la povertà, ma non solo. Perché sono tante le disuguaglianze di cui soffre il Paese, avverte Tito Boeri alla vigilia dell’apertura del Festival internazionale dell’economia che inizia oggi a Torino sotto la sua direzione.
«Nel Paese – spiega l’economista – come rivela una indagine curata da Nando Pagnoncelli che presenteremo domani (oggi – ndr), c’è molta indignazione per i livelli e la natura delle disuguaglianze che sono nate dopo la pandemia. Sono disuguaglianze diverse, come quelle sulle condizioni di salute o il livello di apprendimento scolastico dopo la chiusura delle scuole, che si aggiungono a quelle che già c’erano in termini di redditi e ricchezza. Disuguaglianze che la gente non è disposta a tollerare soprattutto quando sono slegate dal merito».
Sui salari a causa dell’inflazione siamo all’emergenza…
«L’inflazione è chiaramente una preoccupazione molto forte, soprattutto per coloro che hanno redditi fissi: è uno choc in più che si aggiunge a una situazione già di forte disagio che fa nascere forti preoccupazioni sulla coesione sociale».
E come si evita il peggio?
«Innanzitutto bisogna cercare di contenere queste disuguaglianze, perché hanno raggiunto livelli eccessivi, ma soprattutto bisogna che corrispondano davvero a differenze nell’impegno individuale anziché alla fortuna oppure ai clientelismi. E soprattutto non devono essere legate a discriminazioni, altro tema che al festival tratteremo a vari livelli: discriminazioni di genere (dai divari salariali uomo/donna alle differenze nelle carriere, all’accesso alle posizioni manageriali), etniche, legate alle varie disabilità o agli orientamenti sessuali».
Aumentare le paghe serve a sostenere la domanda allontanando la recessione.
«La prima cosa da fare è preoccuparsi dei livelli più bassi. Per cui in Italia è fondamentale affrontare seriamente la questione del salario minimo. È disdicevole che la cosa venga continuamente rinviata: questo è il momento».
Per i sindacati il riferimento sono i minimi fissati dai contratti nazionali.
«No, non è la soluzione, perché i contratti nazionali coprono una percentuale di lavoratori che è decrescente nel tempo e oggi abbiamo già più di 3 milioni di lavoratori che hanno salari inferiori ai minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva. Come in Germania anche in Italia i sindacati dovrebbero prendere atto che, a partire dai servizi, ci sono tantissimi lavoratori non coperti dai contratti collettivi. Per questo dovremmo affidarci ad un salario minimo fissato per legge. Poi è chiaro che dove c’è contrattazione collettiva questo minimo sarà più alto».
Tanti lavoratori precari e in part-time involontario stanno sotto la soglia di povertà.
«Questo è un altro aspetto del problema, che si affronta con altri tipi di strumenti, come il reddito minimo garantito. In Italia esiste il reddito di cittadinanza, che nel momento in cui si introduce un salario minimo andrebbe però ridefinito. I due livelli vanno coordinati tra di loro in modo attento, altrimenti si rischia di fare danni».
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