Processo a Salvini, così vacilla la leadership del Capitano
FRANCESCO OLIVO
ROMA. La strategie internazionale di Matteo Salvini e la sua rete tessuta in gran silenzio con Antonio Capuano stanno provocando un incendio che non si può spegnere con un monologo su Facebook. Il segretario ora ha un fronte interno da affrontare, con il rischio concreto che i mugugni prendano corpo.
I suoi sono spiazzati. Quando li invitano in televisione o alla radio, declinano all’ultimo, niente interviste, «non oggi». La diplomazia parallela di Salvini ha messo in imbarazzo anche i più fedeli tra i suoi, quelli che non lo hanno mai attaccato, ma che adesso non sanno più cosa dire, davanti alle mosse di un capo che li ha scavalcati e anche disorientati. Il malessere cova da tempo e fino a oggi non ha portato frutti concreti, tanti borbottii e poi basta un consiglio federale per rimettere tutti in riga. Ora però qualcuno inizia a muoversi in maniera più decisa e qualche elemento inizia a esserci. Paolo Damilano, l’imprenditore che il centrodestra aveva candidato a sindaco di Torino, ha abbandonato la coalizione denunciando «una deriva populista», una mossa che viene considerata da molti come una sorta di “pesce pilota” verso un approdo che non è ancora definito, ma che potrebbe coinvolgere governisti e governatori, ovvero il contropotere istituzionale all’interno della Lega. Lo stesso Salvini ha annusato il pericolo e i suoi fedelissimi in parlamento hanno insinuato che dietro alla mossa di Damilano ci fosse Giancarlo Giorgetti, amico personale dell’imprenditore, e, a sentir loro, anche ispiratore dei suoi esperimenti. Alla finestra ci sono anche Massimiliano Fedriga e Luca Zaia, i governatori che finora hanno sempre rifiutato le offerte di lasciare il Nordest per tornare all’impegno nazionale.
La convinzione di molti nella Lega è che di questo passo Salvini non arrivi al 2023 e che quindi occorra muoversi in fretta. Le elezioni amministrative di giugno potrebbero essere, in caso di risultato negativo e di sorpasso definitivo di Giorgia Meloni, l’occasione di un movimento clamoroso, ancora tutto da definire, per affrancarsi da Salvini. Le difficoltà però sono molte e non inedite: l’individuazione di un eventuale leader di questa nuova creatura e la collocazione in vista delle elezioni politiche dell’anno prossimo. Senza una modifica della legge elettorale, poi, è difficile per tutti immaginare nuove avventure. Ma a dare credito a queste ipotesi è lo stesso nucleo duro salviniano che parla ormai apertamente, sebbene in privato, di manovre ostili «volte a indebolire il segretario» con il fine di imporre un governo simile a quello attuale, anche dopo le elezioni. Gli occhi sono puntati sui ministri, Giorgetti e Massimo Garavaglia, accusati di aver accettato ogni decisione di Mario Draghi a scapito della linea del partito. A loro viene addebitato il calo netto nei sondaggi. La politica estera del leader del Carroccio sta mettendo in serio imbarazzo anche Forza Italia, specie il settore guidato da Licia Ronzulli e Antonio Tajani, che ha scommesso su un’alleanza stretta con la Lega e che per questo subisce quotidiani attacchi interni (si veda il caso Gelmini). Silvio Berlusconi, preso dall’euforia per la promozione in Seria A del suo Monza, ha evitato ogni commento, ma di certo non condivide le ultime mosse di Salvini. L’opposizione interna azzurra è pronta a rinfacciare ad Arcore gli errori dell’alleato privilegiato, anche per ostacolare ogni idea di federazione o di liste uniche con la Lega.
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