Nicola Gratteri: “Il bavaglio ai magistrati è un errore. Così le cosche puntano ai soldi del Pnrr”

ANNALISA CUZZOCREA

Nicola Gratteri è convinto che la riforma della presunzione d’innocenza sia completamente sbagliata. Secondo il procuratore di Catanzaro, «il rischio è che i magistrati non possano più spiegare ai cittadini le ragioni delle loro scelte».

C’è anche l’esigenza di evitare che l’opinione pubblica condanni un cittadino prima che lo faccia la giustizia, perché spesso ad avere più risonanza è il punto di vista dell’accusa. Non crede che la riforma sia nata per questo?
«Il problema è che da una parte si è ribadito quanto previsto nella direttiva europea del 2016, sulla necessità di assicurare il diritto al riconoscimento della presunzione fino all’accertamento incontrovertibile della colpevolezza. E fin qui va bene. Ma poi si è introdotto un principio, non previsto nella direttiva, secondo cui è vietata ogni forma di comunicazione, da parte delle procure e degli organi di polizia, sull’attività giudiziaria. Da oggi in poi i procuratori parleranno solo per comunicati stampa. Così non sarà più lo Stato a informare, ma gli indagati, gli imputati e i loro avvocati. Che cosa c’entra questo con la presunzione di innocenza? E quando mai si è visto un procuratore della Repubblica affermare in una conferenza stampa che la persona oggetto di custodia cautelare fosse colpevole, prima del processo?».

Ammetterà che spesso, a fronte di errori giudiziari e processi lunghissimi, la reputazione di persone innocenti è stata distrutta per sempre.
«Spiegare, in modo corretto e oggettivo, che cosa abbia fatto lo Stato, è importante per i cittadini. Si pensi agli imprenditori, vittime di estorsione, che decidono di collaborare. Illustrare questo tramite gli organi di stampa è importante per sollecitare le persone a fidarsi dello Stato. Francamente trovo molto strano che l’Ordine dei giornalisti, quando si stava discutendo l’approvazione, non abbia detto nulla».

Il governatore di Bankitalia Visco ha detto che il rischio principale del Pnrr al Sud è l’infiltrazione della criminalità organizzata. Cosa bisognava fare, secondo lei, che non si è fatto?
«Penso che il rischio di infiltrazione non riguardi solo il Sud, ma l’intero Paese. Da tempo le mafie si sono radicate lontano dai territori d’origine e rischiano di rilevare, ancora di più a buon mercato, le imprese in difficoltà. Secondo me c’è stato un abbassamento di attenzione nella lotta alle mafie. Da quando hanno cominciato a centellinare la violenza, sono sparite dal dibattito politico. Purtroppo, per certe persone, le mafie esistono solo quando sparano, ma in realtà quando sono silenti sono ancora più pericolose. L’impatto economico delle mafie, per esempio, non consiste solo nel valore del loro fatturato, ma anche in quello derivante dalle distorsioni della spesa pubblica e dai condizionamenti che possono esercitare sugli appalti pubblici e nel saccheggio delle risorse destinate ai territori. Le distorsioni della concorrenza indeboliscono le imprese sane e creano il terreno di coltura ideale per garantire il radicamento delle mafie».

Ci sono segnali che la ‘ndrangheta sia interessata ai fondi europei?
«Più che segnali ci sono certezze. Le mafie hanno sempre trasformato le crisi in opportunità. Si stanno organizzando soprattutto nei Comuni, nelle Regioni, dove le risorse del Pnrr verranno spese. Servono più attenzione e più controlli. Bisogna tenere gli occhi sempre aperti».

Perché se ne parla sempre meno, tranne che per celebrare anniversari?
«C’era chi sosteneva che bisognasse convivere con le mafie. Hanno sempre goduto di una lunga e colpevole legittimazione, anche da parte di chi avrebbe dovuto combatterle. Ce lo dice la storia del nostro Paese. Se hanno messo radici anche al Nord, le ragioni vanno principalmente ricercate in quegli ambienti politico-imprenditoriali che con le mafie hanno scelto di adottare logiche di pura convenienza».

Lei ha duramente criticato la riforma Cartabia, soprattutto sull’improcedibilità.
«La politica non può pensare di accorciare i tempi della giustizia intervenendo con la tagliola dei termini che, si sa già, con questo sistema non potranno mai essere rispettati. È uno schiaffo alla gente onesta, alle vittime, che si aspettano risposte dalla giustizia e invece verranno mortificate nelle loro aspettative. Per accorciare i tempi ci voleva ben altro. Prima di tutto uomini (magistrati, personale amministrativo e di polizia giudiziaria) e mezzi adeguati rispetto a una mole di affari giudiziari elefantiaca».

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