Se il premier veste i panni del politico
Lucia Annunziata
La questione dell’Ucraina, e della crisi economica che l’accompagna, ha per l’Europa una unica ricaduta – ed è eminentemente politica: il rischio di una nuova ondata di populismo. Così, nel primo giorno di riunione del G7 nel Castello di Elmau in Baviera, Mario Draghi cambia direzione, scarta, e, in una riunione improntata a un linguaggio il più tecnico possibile, evoca uno scenario politico: «Dobbiamo evitare gli errori commessi dopo la crisi del 2008: la crisi energetica non deve produrre un ritorno del populismo». Non è esattamente imbracciare un bazooka, ma non è nemmeno un passaggio irrilevante. Dal 16 giugno si è messa in moto una carambola politica tesa a tastare e consolidare le intenzioni dei paesi europei e degli Stati Uniti. Una mega consultazione: visita dei tre leader europei in Ucraina (il 16), Consiglio Europeo a Bruxelles (23 e 24), in Germania il G7 di oggi (26/28). Tappa finale, il Summit Nato a Madrid del 29 e 30 giugno, che, secondo il segretario Stoltenberg, «trasformerà la Nato».
Nel percorso è risultato chiaro che Europa e Usa sono d’accordo nel formalizzare l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue. Chiaro è anche che l’invio delle armi non è davvero una questione aperta, anche se la decisione è applicata in maniera ondivaga, per le vicende interna a ogni paese. Sono rimasti aperti invece quasi tutti i dossier economici – grano, inflazione, crisi energetica – perché ciascuno riapre la scatola nera dei diversi interessi nazionali. Mario Draghi è entrato in questa nuova fase di riunioni con un sussulto di impegno. Il suo governo, preso in mezzo da una serie di tremori di crisi, è parso non trovare una efficace azione nei primi mesi di guerra. In questo anticipo d’estate, tuttavia, l’Inquilino di Palazzo Chigi è ripartito prendendo in mano proprio i dossier economici, vestendo di nuovo il ruolo dell’economista di status, relazionandosi con alcuni suoi naturali interlocutori, come gli Stati Uniti – dove continua a contare ( dai segnali che si hanno) molti amici, come la influente ex governatrice della Fed, oggi ministro del tesoro, Janet Yellen. Soprattutto, il premier italiano si è intestato la proposta di un price cap, cioè un tetto al prezzo del gas russo. Proposta lodata come necessaria, ma in pratica avversata da molti, a partire dalla Germania. Nei fatti rimandata a ottobre, proprio al Consiglio Europeo.
In questo G7, forse perché gli Stati Uniti si sono mostrati più favorevoli ( riecco l’influenza della Yellen, si dice), Draghi sembra aver cambiato tattica, scendendo sul terreno della politica. La dichiarazione sul populismo che abbiamo citato sopra, continua così: «Mettere un tetto al prezzo dei combustibili fossili importati dalla Russia ha un obiettivo geopolitico oltre che economico e sociale. Dobbiamo ridurre i nostri finanziamenti alla Russia. E dobbiamo eliminare una delle principali cause dell’inflazione. Abbiamo gli strumenti per farlo: dobbiamo mitigare l’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia, compensare le famiglie e le imprese in difficoltà, tassare le aziende che fanno profitti straordinari». Evocare il populismo, nel contesto europeo, significa parlare di destabilizzazione.