Centrodestra, la paura dei tre leader: vincere nei sondaggi ma perdere nelle urne
Ugo Magri
ROMA. Come la linea dell’orizzonte: più il centrodestra insegue la vittoria e più questa, dispettosamente, si allontana. In autunno le Amministrative erano state un bagno di sangue perfino a Roma, dove eleggere il sindaco sembrava facile quanto segnare un rigore a porta vuota; colpa delle liti, si disse, che avevano impedito di scegliere il candidato adatto. Domenica ai ballottaggi altro calcio di rigore, e di nuovo il centrodestra l’ha fallito anche dove, vedi Verona o Catanzaro, sbagliare mira era praticamente impossibile. Come otto mesi fa Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi riconoscono che così non si fa strada, e ieri è stato un coro: «Voltiamo pagina, smettiamola di bisticciare, incontriamoci, parliamo». Ma vedersi per parlare di cosa? Qui nasce il problema.
Nel centrodestra c’è tutto da chiarire, da cima a fondo. Come atteggiarsi tra Russia e America. Quali strategie adottare in Europa. Che atteggiamento tenere rispetto a Mario Draghi. Il programma da presentare alle Politiche del 2023. Chi guiderebbe nel caso il governo e con quale squadra ministeriale… Sono le domande in fondo banali che qualunque elettore si pone, in particolare lo chiede chi «antipatizza» per la sinistra. Ma fino adesso non sono arrivate risposte; soltanto invidie e ripicche; battibecchi pubblici e silenzi privati; sgambetti e colpi bassi. L’incertezza sulle prospettive ha generato sfiducia tra gli elettori; l’analisi dei flussi, svolta tempestivamente dall’Istituto Cattaneo, documenta che il massimo di astensionismo si è registrato a destra; in attesa di tempi migliori, più di qualcuno se n’è andato al mare.
Ora finalmente si parleranno. Berlusconi mette casa a disposizione per un incontro conviviale. Salvini, sentito al telefono, gli ha già dato l’ok; oggi o domani Silvio consulterà Meloni che sulla carta è disponibile, anzi non vede l’ora, così assicura. Però, da persona pragmatica qual è, detesta i voli pindarici. Più che rivolgere lo sguardo alle prospettive lontane, agli scenari del futuribile, Giorgia concentrerebbe l’attenzione sulle prossime e più immediate scadenze, in modo da non sbagliare il terzo rigore consecutivo quando dopo l’estate si tornerà alle urne per le Regionali in Sicilia. Meloni chiede, anzi pretende chiarezza sul destino del governatore uscente Nello Musumeci, che lei sostiene a spada tratta ma Forza Italia e Lega vedono come fumo negli occhi per certi atteggiamenti “duceschi”. Meloni battaglierà per averla vinta perché non è suo costume farsi «concava e convessa» come ai tempi d’oro il Cavaliere, quando doveva destreggiarsi tra Gianfranco Fini e Umberto Bossi (anche così si esercita una leadership). Dunque il timore è che, invece di consacrare la ritrovata unità di intenti, il pranzo berlusconiano possa finire come nei cortometraggi del cinema muto: a torte in faccia. Le premesse ci sono eccome.
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