Enrico Letta: “Una vittoria contro il populismo. Ma adesso serve un nuovo Ulivo. Giù le tasse sul lavoro e Ius Scholae”

ANNALISA CUZZOCREA

Non conta sulle divisioni del centrodestra, Enrico Letta. Non pensa che ad aiutare il Partito democratico potranno mai essere le liti tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Il segretario del Pd crede piuttosto, e lo racconta con convinzione seduto alla sua scrivania, al terzo piano del Nazareno, che a funzionare in queste amministrative sia stata «la solidità dei candidati». Perché i due anni di pandemia hanno cambiato tutto, «le persone non vogliono fuochi d’artificio, ma lavoro sul territorio». Li elenca come fosse l’allenatore di una squadra che ha vinto lo scudetto, con la camicia celeste impeccabile nonostante i 40 gradi romani: «Ci sono gli esterni, come il professore Nicola Fiorita a Catanzaro e il calciatore dalla grande forza sociale, Damiano Tommasi, a Verona. Ottimi amministratori come Giorgio Abonante ad Alessandria, Patrizia Manassero a Cuneo, Paolo Pilotto a Monza. Katia Tarasconi e Michele Guerra a Piacenza e Parma. Tutti molto bravi a interpretare queste elezioni per quello che sono, senza retropensieri». Adesso, questo capitale fiducia guadagnato, i dem vogliono investirlo in quella che chiamano «agenda sociale»: lotta alla precarietà, incentivazione del primo impiego per i giovani, salario minimo, riduzione delle tasse sul lavoro. Con un avvertimento sui diritti: «Non approvare lo ius scholae – la nuova legge sulla cittadinanza per i figli di immigrati – adesso che siamo a un passo, sarebbe un atto di crudeltà».

A Lucca la destra unita, compresa quella estrema di Casapound, ha rovesciato il risultato del primo turno e siete stati sconfitti. Teme che qualcosa del genere si possa replicare alle politiche?
«Negli ultimi venti anni a Lucca si è sempre deciso il sindaco con poco scarto. È evidente che in questo caso è stato rilevante l’apporto del candidato no vax, che ha detto una serie di assurdità . Quello 0,5 per cento è stato purtroppo determinante».

Pensa che la competizione interna che si è innescata nel centrodestra tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini continuerà?
«Ho sempre pensato che alla fine correranno insieme. Mai un momento ho ragionato immaginando di potere ricevere regali inaspettati da loro divisioni».

Ma qualcuno anche nel suo partito accarezza l’idea di cambiare la legge elettorale per rendere la prospettiva più realistica. Premerete per tornare al proporzionale?
«Le dico quello che indica secondo me il risultato di queste amministrative: i cittadini vogliono poter influire sulle scelte. L’idea che si vada alle politiche a eleggere un parlamento di nominati dai capipartito e non di eletti dai cittadini è folle».

C’è stato un record di astensionismo, ai ballottaggi ha votato solo il 42 per cento.
«Ci sono diverse ragioni e una è proprio l’aver sottovalutato per troppo tempo l’impatto negativo delle liste bloccate e dei parlamentari nominati sugli elettori. Sono pronto a ragionare sui modelli, ma serve una legge elettorale più democratica e partecipativa».

Quanto alla coalizione, pensa ancora a un nuovo Ulivo?
«L’Ulivo per me è sempre stato un modello perché ha avuto una grande capacità di partecipazione ed espansione andando oltre alla classe politica. È quel che mi piace di questo risultato, che è andato oltre i partiti. Due personaggi come Tommasi e Fiorita, un calciatore e un professore ai lati opposti dell’Italia, dicono che è quella la strada. Mettere in campo una nuova classe politica. So benissimo che non bisogna ripetere le cose del passato, nell’anno che abbiamo davanti dobbiamo elaborare un progetto, un nome, un programma e dei contenuti per una nuova coalizione».

Sono molte cose. Almeno il nome ce l’ha già?
«Non devo essere io a trovarlo, verrà fuori da un lavoro condiviso. Ma servono solidità, serietà e responsabilità».

Per ora ci sono più veleni, odi reciproci e veti incrociati.
«Ma queste amministrative le abbiamo vinte nonostante il gioco dei veti incrociati. A Verona, a sostenere Tommasi c’erano sia Calenda che Conte. Vorrei che semplicemente si cominciasse a separare l’immagine dalla sostanza. Capisco che queste forze debbano trovare una loro identità, per noi è più semplice, il Pd è il fratello maggiore, ma a un certo punto bisogna pensare a unire».

È lei il nuovo Prodi?
«Di Prodi ce n’è stato uno solo. Per ora bisogna tenere insieme, costruire, capire con quale legge elettorale andremo al voto, per il candidato premier c’è tempo».

Draghi ieri ha detto che bisogna agire per contrastare la crisi energetica altrimenti torneranno i populismi. È diventato più politico?
«Non mi ha sorpreso. Nella gestione della linea di politica monetaria della banca centrale europea ha già dimostrato la sua sapienza politica. Se non ne avesse avuta, non sarebbe forte com’è dopo questo anno e mezzo a Palazzo Chigi».

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