Enrico Letta: “Una vittoria contro il populismo. Ma adesso serve un nuovo Ulivo. Giù le tasse sul lavoro e Ius Scholae”
Lo è ancora?
«Assolutamente. L’ho toccato con
mano sia durante la campagna elettorale che negli ultimi viaggi europei.
È un punto di riferimento per tutta l’Unione».
Attorno alla scissione di Luigi Di Maio, con la complicità di
forzisti come Renato Brunetta e leghisti come Giancarlo Giorgetti, si
sta creando il partito del Draghi dopo Draghi?
«Sono sicuro
che il premier non farà mai l’errore di autorizzare l’utilizzo del suo
nome in politica. Ma penso sia positivo che ci sia un movimento politico
che riesce ad aggregare anche dall’altra parte».
Questo significa che il Pd tornerà a guardare a destra, alle larghe intese, pur di vincere?
«No,
la questione principale resta chi siamo noi e che cosa diciamo noi.
Torno a quel che ho detto dal primo giorno della mia elezione a
segretario: radicali nei comportamenti, progressisti nei contenuti e
riformisti nel metodo. Sono stato accusato in questo anno e mezzo di
essere eccessivamente radicale per le posizioni che ho assunto».
Ad esempio su cosa?
«Ad esempio sul voto in
Parlamento europeo per la carbon tax alle frontiere, mentre la
maggioranza dei parlamentari italiani votava contro. I giovani devono
sapere che saremo affidabili nella lotta al cambiamento climatico.
Facendo attenzione a coniugarlo non come tema elitario, per chi se lo
può permettere. Una battaglia da fare nei prossimi mesi dovrebbe essere
quella di assegnare a tutte le famiglie più fragili del nostro Paese il
mini kit di fotovoltaico da appartamento, esempio virtuoso di cosa
significhi unire ambiente e sociale. Per risparmiare sulla bolletta e
sulle emissioni».
E poi: salario minimo? Perché non lo fate subito?
«Perché
non siamo tutti d’accordo, la destra non lo è. E invece la questione
salariale andrebbe affrontata subito col salario minimo, con un
intervento sul lavoro povero, la riduzione delle tasse sul lavoro».
Sull’ultimo punto ha aperto anche Confindustria.
«Ecco allora facciamolo».
Chi è che frena? Draghi?
«Per niente, so che è
disponibile e soprattutto è disponibile a sentire quello che dice il
Parlamento. E quindi portiamo subito l’abbattimento del cuneo fiscale in
manovra, ma facciamolo valere prima del 2023. Anticipiamolo con
l’extragettito di quest’anno e spalmiamolo sull’ultimo quadrimestre del
2022. In modo da dare ai lavoratori alla fine di quest’anno una
mensilità in più».
Crede davvero sia possibile?
«Ci sono tante
famiglie colpite duramente dall’inflazione, dal caro energia e dalla
precarietà del lavoro. Se non diamo immediatamente un segnale, se non
torniamo a parlare a quelli che non ce la fanno, arriveranno i gilet
gialli italiani che di certo non voteranno per noi».
E per chi?
«Quei voti andrebbero al populismo,
che sostanzialmente finisce a destra. Come ha dimostrato il voto
francese. Per questo bisogna pensare anche ai giovani, mettendo fine
agli stage gratuiti. Il primo lavoro di un ragazzo dev’essere ben
pagato, non si può arrivare poveri e precari oltre ai trent’anni,
altrimento non chiediamoci da dove arriva la denatalità».
Il fronte europeo contro l’aggressione russa in Ucraina si
sta sfaldando? Le nostre democrazie sono sempre meno disposte a fare
sacrifici?
«C’è una stanchezza delle opinioni pubbliche che
sta venendo fuori. Per questo bisogna essere molto uniti e molto forti
sulla questione gas. La cosa essenziale è evitare quello che in inglese è
stato usato come brand molto efficace: che si crei la contrapposizione
“the west and the rest”. Una contrapposizione tra occidente e Paesi ex
colonie. Sarebbe il vero dramma di questa guerra».
Come si evita?
«Siamo noi occidentali e sono gli
organismi internazionali a dover combattere la fame e la crisi del
grano. Altrimenti quei Paesi diranno: a me della causa interessa poco, è
colpa dell’Ucraina e di chi la aiuta se mi impoverisco».
Teme ci saranno problemi quando il governo varerà il nuovo dpcm per inviare armi a Kiev?
«Credo
che quella questione sia stata risolta in modo ragionevole la settimana
scorsa e che Draghi abbia spiegato molto chiaramente la posizione
italiana, quella di chi vuole la pace. La mia impressione è che il
viaggio con Macron e Scholz a Kiev sia stato influenzato dalla linea del
presidente del Consiglio, non a caso dopo il colloquio a tre sul treno
si è sbloccato anche il voto per la candidatura dell’Ucraina a Paese
membro dell’Unione».
Domani arriva in aula lo Ius scholae, la possibilità per i
figli di immigrati nati o cresciuti qui di ottenere la cittadinanza. Si
riuscirà?
«È un grande obiettivo finalmente a portata di
mano e per me la priorità è che venga approvato. Per questo sono pronto
ad abbassare qualunque tono polemico. Lo sostiene un fronte trasversale,
è un tema che va deideologizzato e che va portato fino in fondo tutti
insieme. Sarebbe crudele nei confronti di quegli oltre 800mila ragazzi
se in questa legislatura non riuscissimo ad approvarlo. Per questo sono
molto felice di quanto fatto da un sindaco del Pd come Matteo Lepore: da
ieri lo Ius soli è nello statuto del Comune, chi nasce e studia a
Bologna sarà d’ora in poi cittadino onorario della città. Un atto
simbolico in attesa di una legge giusta».
Come non si è riusciti ad approvare il ddl Zan contro l’omotransfobia e la legge sul suicidio assistito ora ferma al Senato.
«Quanto
siano in pericolo i diritti lo mostra anche quel che sta accadendo
negli Stati Uniti. È il segnale del fatto che non c’è nulla di scontato.
Due anni dopo va a compimento una delle operazioni più spericolate del
trumpismo, il controllo della Corte suprema americana. Mi ha colpito
moltissimo la contemporaneità delle due sentenze».
Sulle armi e sull’aborto?
«È un manifesto ideologico ed è, nel caso dell’aborto, lo smantellamento di uno dei nostri principi e valori più importanti: la laicità dello Stato. Lo dico da cattolico: se tu non vuoi divorziare non divorzi, se sei contro l’aborto no n lo pratichi, se sei contro le relazioni omosessuali sei libero di non averne. Ma non puoi impedire ai tuoi concittadini di fare quel che tu non sceglieresti per te. Questa è la laicità dello Stato, una delle grandi conquiste del nostro mondo. Ora in pericolo».
LA STAMPA
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